Gian Antonio Stella: “Offesa al pudore”: incriminati i manifesti con gli amici gay

31 Marzo 2006
Mezzo secolo dopo, il mitico giudice Pietro Trombi che emetteva apocalittiche sentenze contro i film pieni di ‟baci a mordicchio, a risucchio, a ventosa”, ha finalmente un successore. È il pm romano Carlo Lasperanza, che ha messo sotto inchiesta i protagonisti dei manifesti della ‟Ra.Re” centrati su una coppia di giovani gay e firmati da Oliviero Toscani.
Perché con un ‟disegno criminoso” offendono ‟il pudore e la pubblica decenza” mettendo a rischio la ‟tutela morale” dei minori.
Atletico, giovanile, appassionato di windsurf, il magistrato non è nuovo alle cronache né alle polemiche. È infatti lo stesso che finì sui giornali e poi nel mirino dei colleghi di Perugia (assolto) e del Csm (prescritto) per avere condotto col collega Italo Ormanni, durante le indagini sull'omicidio di Marta Russo, il famoso interrogatorio (finito poi in onda nei tg) di Gabriella Alletto, la testimone-chiave che ‟ricordò” la presenza di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro anche grazie a ‟inviti” come questo: ‟Se lei continua ad affermare che non c'era, allora l'omicidio lo ha fatto lei, il che significa la condanna a 24 anni”.
Se il magistrato si sia mosso stavolta di sua iniziativa o partendo da una denuncia che altri avrebbero cestinato non si sa. Certo è che gli ideatori della campagna pubblicitaria e i fratelli Bertoncello titolari della ‟Ra.Re”, un'impresa padovana che produce abiti informali di gran successo tra i giovani, hanno ricevuto la visita di un paio di poliziotti e l'avviso della conclusione delle indagini preliminari. Dove il pm incrimina tutte e quattro le foto che in queste settimane abbiamo visto sui muri, sui giornali e su internet.
In ordine, citando parola per parola l'atto giudiziario: il primo, con ‟due uomini sorridenti, seduti su di un divano, nell'atto di toccarsi gli organi genitali”; il secondo con ‟due uomini sdraiati uno su l'altro, su di un divano, nell'atto di baciarsi sulla bocca”; il terzo con ‟due uomini che, in atteggiamento affettuoso tra di loro, spingono una carrozzina, simulando così una situazione di due genitori che portano a spasso il loro bambino” e infine il quarto, con ‟due uomini che, abbracciati tra loro si baciano in bocca tenendo per mano, da un lato una coppia di donne che a loro volta si baciano e dall'altro lato un'altra coppia eterosessuale che si bacia mentre, sotto al ponte formato dalla unione delle braccia della coppia di uomini e della coppia eterosessuale, vi sono due bambini che sorridono e si abbracciano”.
Il che spazza via ogni equivoco: il giudice non ce l'ha solo col primo manifesto, che come capita spesso a Oliviero Toscani (si pensi allo sculettamento dei pantaloni Jesus, al neonato attaccato al cordone ombelicale, al bacio tra un prete e una suora) ha una carica di provocazione che può infastidire una parte della società, per quanto sia secolarizzata e bombardata nello zapping televisivo e ‟grandefratellesco” da caterve di immagini di malizia, sesso e violenza. No, ce l'ha con tutti. Anche con quelli che non solo i soci Arcigay possono aver visto come semplici ammiccamenti più o meno spiritosi e allegri. Tutti nello stesso calderone. O se volete sullo stesso rogo.
L'accusa agli imputati, come dicevamo uniti ‟in concorso tra loro con più con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso”, è infatti: ‟Fabbricavano, detenevano e mettevano in circolazione dei manifesti pubblicitari, esponendoli pubblicamente anche nei confronti di soggetti minori di anni 18 le cui immagini ritraevano, di volta in volta, persone in atteggiamenti tali da offendere il pudore e la pubblica decenza, considerati secondo la particolare sensibilità dei minori e le esigenze della loro tutela morale”. Una imputazione che, c'è da scommetterci, è destinata a sollevare una selva di polemiche. Non solo nel mondo gay italiano e internazionale. E che a qualcuno ricorderà uno dei rimproveri lanciati nella seduta del Csm contro i metodi spicci usati nel famoso interrogatorio da Lasperanza e del suo collega, metodi bollati con l'accostamento al ‟ directorium inquisitorum del domenicano Nicola Emerico”.
Una cosa è certa: che sia più o meno fondato (il tema è aperto), il provvedimento giudiziario riapre una stagione che pareva chiusa da tempo. E riporta alla memoria anni lontani. Quando la Cassazione sentenziava nel marzo 1921 che ‟il bacio, se dato in luogo pubblico con forma scorretta e tale da essere verosimilmente interpretato come atto impudico, viola il diritto che compete a ogni cittadino di non essere turbato nel suo senso morale con spettacoli inverecondi”. Quando Giorgio Albertazzi veniva ufficialmente ammonito dalla Rai nel 1957 per avere baciato sulla bocca con troppa passione (tre secondi!) l'attrice Bianca Toccafondi in ‟Sesto piano”. Quando ancora nel '68 la Cassazione insisteva che il bacio può essere ‟un atto eventualmente osceno dal momento che può consistere in una semplice manifestazione di affetto, nel qual caso non costituisce reato, ovvero può essere espressione di concupiscenza e di libidine e, come tale, offendere la morale sessuale”. Quando il giudice Trombi, come dicevamo, fulminava ‟quei baci saltellanti che non risparmiano un centimetro quadrato dell'epidermide facciale del soggetto maschio o femmina, quei baci a mordicchio, a risucchio, a ventosa, ad aspirapolvere, così stucchevoli da annoiare anche il più cretino e smidollato ricercatore di emozioni erotiche”.
Che anni, quegli anni! La povera Dama Bianca di Coppi veniva sbattuta in galera per ‟adulterio e condotta contraria al buon ordine della famiglia”. ‟La Stampa” titolava: ‟Nessun ballo esclude il rischio del peccato”. L'‟Enciclopedia di polizia” di Luigi Salerno spiegava che l'uranismo ‟è una forma di inversione sessuale congenita, una terribile psicopatia, per la quale chi ne è affetto, pure essendo uomo, è tratto ad amare come una donna e viceversa” e che il ‟vizio funesto” della masturbazione ‟talvolta conduce precocemente alla morte”. La Rai mandava in onda un ‟Otello” di Shakespeare dove il Moro, uccidendo Desdemona, non le urla 16 volte ‟puttana” ma ‟farfallona! farfallona! farfallona!”.
Come andrà stavolta non si sa. Ma a un giudice sessuofobo di allora, ‟che vede il male / anche dove non ce n'è”, Fausto Amodei dedicò una canzone. Finiva così: ‟Ed a forza di pigliarsela col sesso / diventò procuratore general!”.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …