Giorgio Bocca: Le elezioni più brutte

03 Aprile 2006
Le peggiori elezioni della nostra vita. Senza grandi illusioni, senza scontri di religione, senza sogni di benessere e di ricchezza, persino senza grandi brogli. Una scommessa nel buio e per metà degli italiani un solo vero desiderio, un solo vero programma: liberarsi di Berlusconi e del berlusconismo. Tutti gli opinionisti dicono che a deciderle saranno gli incerti, cioè una ulteriore prova che la democrazia non basta più a governare le incertezze e le incognite del mondo. Le elezioni del passato sono confronti improponibili, specie quelle decisive del '48. C’era stata la guerra e c’era stata la sconfitta, c’erano i due imperi dalla guerra imposti, l’americano e il sovietico. Poi c’erano la chiesa di Pio XII e il comunismo di Stalin e c’era l’Italia della sopravvivenza del "Francia o Spagna por che si magna". Allora per decenni ci impegnammo in furibonde discussioni ideologiche su quel voto, se lo avesse deciso il professor Gedda con i suoi comitati civici o il predicatore gesuita Lombardi "microfono di Dio" con le sue prediche apocalittiche, o più probabilmente le navi cariche di grano che dall’America arrivavano nei nostri porti accolte dall’ambasciatore Dunn o dalle lettere che i nostri emigrati negli Stati Uniti scrivevano ai loro parenti in Italia, dalle processioni delle madonne pellegrine o dai treni dell’amicizia ideati da Drew Pearson che percorrevano la ricca America raccogliendo aiuti per i buoni italiani perché non cadessero nelle mani dei comunisti e che sbarcate da noi venivano caricate su altri treni dell’amicizia che percorrevano l’Italia fra manifestazioni ingigantite da una stampa favorevole. Che cosa erano quelle elezioni? Opportunismo di massa per confermare il governo conservatore della Democrazia cristiana o l’antica sapienza arrivata dalle dominazioni straniere, l’opposizione dei comunisti come riserva in caso di un’invasione sovietica? Ma c’era anche altro di positivo, di progressista, c’era la modernità del paese, l’ingresso nella politica e nell’economia delle masse popolari, la crescita dell’informazione, della scuola. Che cosa ha portato nella macchina elettorale, nel modo elettorale di gestire la fragile democrazia italiana, l’irruzione disgregante e deformante del fenomeno Berlusconi? Direi di avere imposto in tempi rapidi al paese una cultura pubblicitaria, americana, esiziale per le nostre tradizioni risorgimentali socialiste e umanistiche, una cultura che disperde ciò che vi era di buono nel nostro modo di vivere che cancella i rapporti civili, gli ammortizzatori sociali e che produce solo rapporti di forza di violenza, di astuzia, di inganno. Può darsi, anzi è certo, che questi siano gli effetti mondiali delle rivoluzioni conservatrici di Reagan o della Thatcher. Il capitalismo impietoso e globale che ha sostituito il colonialismo, come è certo che Berlusconi non ha inventato niente in politica ma molto ha copiato, scimmiottato, ma i danni che ha fatto sono devastanti. Quelli della sua corte ripetono in continuazione che la televisione di cui è quasi monopolista non ha alcun peso in politica e soprattutto nelle elezioni. è vero ma non ce l’ha perché la televisione, il suo braccio armato e la pubblicità il loro lavoro di conquista delle masse lo hanno già fatto perché la politica e le elezioni si sono arrese al potere economico, arrivano dopo le grandi trasformazioni volute o accettate dal potere economico: il ritorno dell’imperialismo militare, del monopolismo economico e scientifico, l’eclisse della classe operaia, il trionfo del computerismo, del possesso da parte dei ceti dominanti delle scienze e delle comunicazioni, la disintegrazione della cultura liberale. Berlusconi non ha inventato niente di tutto ciò ma in tutto si è intromesso come parassita e corruttore. L’informazione economica nella modernità complessa è quanto mai ardua. Lui ci si è buttato a capofitto per renderla totalmente incomprensibile, certo che ogni menzogna, ogni favola, ogni falsa promessa poteva essere sostenuta avendo il controllo dei mezzi di comunicazione. Una campagna elettorale basata su ragionamenti seri e su informazioni attendibili è impossibile o perdente nel mare vorticoso delle menzogne pubblicitarie e propagandistiche, specie se uno dei concorrenti possiede il monopolio delle televisioni. Dovrebbe resistere la verità dei fatti, dovrebbe avere un peso decisivo la realtà di una gestione governativa pessima o catastrofica, ma non è così, ci si abitua a tutto anche al regno delle menzogne. Il Cavaliere ha mancato tutte le sue promesse, ma i suoi avversari hanno compiuto l’errore di scendere a volte sul suo campo, di fare per esempio, in tema di tasse promesse non sempre convincenti, e lui ci è saltato sopra con i suoi servi mediocri ma zelanti. Il Cavaliere è stato metodico, implacabile nella distruzione del vecchio Stato, solo che al posto di quello distrutto è arrivato quello delle camorre e delle mafie. Non quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci di cui si vanta. E avvolgendosi nelle menzogne è arrivato al massimo della presunzione pubblicitaria: convincere i poveri, che ha impoverito, che sono dei ricchi che ha arricchito. I megalomani autoritari sono come la peste: bisogna aspettare che se ne vada così come è arrivata. Ma come non augurare al paese e a noi che questa che abbiamo se ne vada, si dissolva, scompaia? L’unica cosa comprensibile, pratica, programmatica concreta di queste elezioni è proprio questa: che il Cavaliere se ne vada, che ci lasci affrontare i nostri gravissimi e a volte insolubili problemi senza le sue comparsate mandolinesche, le sue astuzie da commesso viaggiatore. Se il nostro futuro sarà pieno di sangue e di lacrime lo affronteremo, ma di una cosa dobbiamo assolutamente separarci: dal ridicolo.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …