Marco D'Eramo: Maledetto popolo

18 Aprile 2006
Silvio Berlusconi come Vanna Marchi? Gli italiani creduloni abbindolati dalla telepromozione politica? C'è qualcosa di davvero inquietante nel modo in cui tanta sinistra ha reagito al voto del 9 e 10 aprile. Il più delicato: ‟Che paese di merda!”. Il più civico: ‟Io emigro”. I nostri esponenti riecheggiano le nobildonne che un tempo addossavano alla ‟plebe” tutti i malanni d'Italia. Sembra che in tanti abbiano preso sul serio la tagliente ironia di Bertold Brecht, per cui quando un popolo smentisce un governo, il governo deve cambiare popolo. Se la sinistra non ha vinto con ampio margine, è quindi colpa del maledetto popolo. Mai che fosse colpa nostra, ovvero dei nostri dirigenti, della classe politica di sinistra. Vorrei perciò esporre una tesi opposta, non tanto per amore del paradosso, quanto per mettere qualche paletto all'ipotetico, futuro governo di centrosinistra. La tesi è: lungi dal essersi fatti circuire, gli italiani hanno votato in modo razionale in funzione dei propri interessi, in base alle (seppur scarse o manipolate) informazioni di cui disponevano. Le informazioni di cui dispongono i cittadini è che, per quanto riguarda la politica economica, da più di un decennio, in quasi tutto il mondo le parti in commedia si sono invertite tra destra e sinistra.
Si è dimenticato con troppa facilità che la ragione più importante del successo di Berlusconi nel 2001 fu la drastica dieta dimagrante che il governo di centrosinistra aveva imposto all'Italia per consentirle di rientrare nei parametri di Maastricht: l'entità del salasso non fu mai rivelata, ma è presto calcolata. Negli anni '90 il debito pubblico italiano si aggirava intorno al 120% del prodotto interno lordo. Il puro servizio del debito viaggiava perciò intorno al 6-7%. Portare il deficit pubblico al 3% implicava quindi che ogni anno un 4% fosse sottratto alla ricchezza nazionale solo per mantenere il debito ai suoi livelli precedenti. Se poi si voleva diminuire il debito totale, altro salasso andava praticato nei portafogli degli italiani, e i nostri cerusici non si risparmiarono. Si dirà che si trattava di ridurre l'onere della rendita finanziaria: traduzione: il popolo dei Bot fu massacrato. Perciò a Berlusconi per vincere alla grande bastò l'impegno di far ricominciare a girare il denaro, con le promesse esplicite di grandi opere e di riduzione ufficiale delle tasse, e invece la promessa implicita di riduzione ufficiosa delle tasse, consentendo un'evasione alla luce del sole (promessa mantenuta). Come è noto, i tanto ventilati denari non si sono mai visti, le grandi opere sono rimaste allo stato di inaugurazioni bidone e il prelievo fiscale ufficiale è rimasto più o meno inalterato. Da qui la delusione di tanta parte dell'elettorato. Persino il popolo dell'Iva si è sentito tradito. Evidentemente però la delusione per la destra non bastava a ribaltarsi in fiducia per il pronte opposto. Infatti con quale obiettivo primario nel 2006 la sinistra si è candidata al governo? Con quello di risanare i conti pubblici. Il che in buon italiano vuol dire o ridurre le spese o aumentare le entrate, o ambedue. E gli italiani un primo doloroso assaggio di questo risanamento lo avevano già avuto prima con i governi Amato e Ciampi e poi tra il 1996 e il 2001. In tutta la campagna al centro del dibattito sono state le entrate dello stato, mai le sue uscite. Abbiamo - più o meno - saputo come sarebbero aumentati gli introiti (lotta all'evasione, imposizione sulle plus-valenze finanziarie), ma non ci è mai stato detto con chiarezza come questi soldi sarebbero stati spesi. Un programma di più di 200 pagine è un nonprogramma. Nel 1981 la sinistra francese vinse con un programma che oggi sarebbe definito leninista (nazionalizzazione di tutti i gruppi bancari, aumento del salario minimo, quinta settimana di ferie pagata, abolizione della pena di morte..). Insomma, il lavoratore dipendente che votava per François Mitterrand, sapeva perché votava e aveva una speranza di mettersi qualcosa in tasca e portare qualcosa a casa. Alternativamente, nel 2003 in Spagna Zapatero - assai conservatore in politica economica - era però esplicito, anzi radicale, sui temi ‟liberal ‟: ritiro dall'Iraq, aborto, Pacs... Anche qui l'elettore sapeva che cosa gliene veniva. Nel 2006 in Italia l'elettore della casa delle Libertà sapeva per che cosa votava, invece l'elettore di sinistra non lo sapeva: il lavoratore dipendente italiano avrebbe dovuto votare per la sinistra solo per dire no a Forza Italia. È una storia che viene da lontano. Poiché nel nostro paese non c'è mai stata una vera e propria classe borghese (ci sono sì famiglie ricche, ma esse non hanno mai costituito una classe con la sua ideologia e il suo apparato statale), almeno dal 1946 la sinistra italiana si è addossata un ruolo di sostituto della borghesia. Per usare il linguaggio degli euroburocrati, da decenni la sinistra italiana è vittima della sindrome di sussidiarità, si sente cioè costretta a fare tutto quel che la non-borghesia italiana non fa. Il marxismo aveva coniato una bella espressione: ‟farsi classe generale”, il che avviene quando una classe specifica convince tutte le altre classi che, lottando per i propri interessi, persegue in realtà quelli di tutta la società generale. Oggi la sinistra pretende invece di ‟farsi classe generale” subendo l'egemonia altrui e sacrificando i salariati agli interessi delle altre classi. Non convincendo il padronato che è suo pro fare gli interessi dei lavoratori, bensì al contrario, convincendo i lavoratori che è loro indispensabile fare gli interessi del padronato, fino quasi a diventare il più sussiegoso factotum delle esigenze confindustriali: infatti l'unica promessa chiara Romano Prodi l'ha fatta alle imprese, quella di ridurre il cuneo fiscale del 5%. Questa pretesa di assurgere a ‟classe generale” porta quindi la sinistra a penalizzare, anziché a valorizzare, gli interessi della sua specifica constituency. Da qui l'immagine (non del tutto peregrina) della sinistra come forza politica punitiva, esperta in bastone ma avara di carote: in prigione gli evasori sì, ma poi? Perché mai i nostri dirigenti del centro sinistra non ci dicono le tre-quattro misure chiare, semplici, precise, che porterebbero vantaggio alla maggioranza dei lavoratori dipendenti, invece di prospettarci solo un'improbabile punizione quei cattivoni di speculatori? Perché non ci hanno fatto sapere in che cosa staremmo meglio con un governo di centrosinistra? Per di più, la società italiana è molto più intricata di quel che sembra: il calo delle nascite ha fatto sì che su quasi ogni individuo siano confluiti i modesti averi dei suoi avi, l'appartamentino, l'orto, il piccolo capitale in Bot, così che - come ha spiegato bene Marcello De Cecco - gran parte dei lavoratori dipendenti mantiene un livello di vita accettabile integrandolo con seppur piccole entrate finanziarie, di modo che, in maggioranza, ognuno di noi è insieme salariato dipendente e rentier piccolo piccolo. Di fronte a quest'intrico sociale, la cultura politica dei nostri dirigenti ha mantenuto sì la vecchia impostazione della classe generale, ma subalterna ideologicamente alle superiori ragioni del mercato. Del berlinguerismo ritiene una fascinazione rigoristico- puritana (quando non masochista) per l'austerità, ma all'interno di una strategia craxiana (d'alemiana?) di spregiudicata occupazione del potere nel mantenimento dell'esistente. Ecco perché il voto degli Italiani sembra razionale: perché - se non avessimo avuto Berlusconi contro - ci sarebbero state tutte le ragioni per votare contro questo centrosinistra. Che metà degli italiani abbia accettato la dolorosa prospettiva di un'altra stangata, pur di evitarsi un regime berlusconiano è quindi solo segno di grande dedizione civica da parte dei bistrattati cittadini di questo nostro paese. Perché lo scenario più probabile è che l'austerità di spesa pubblica e la responsabilità fiscale - prescritte dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Confindustria e dalla Commissione europea - saranno diligentemente somministrate dal governo di centrosinistra che così creerà tutte le condizioni per essere rovesciato nella prossima tornata elettorale, quando alla destra sarà lasciato un'altra volta il margine di manovra di spendere di più, far circolare più moneta, e aumentare il deficit. PS E poi, per favore basta con questa litania del paese spaccato in due: col sistema bipolare poteva forse essere spaccato in tre? O forse un paese che vota al 48 - 52% è molto meno spaccato di uno che vota al 50,1- 49,9? Nel 1960 John Kennedy vinse per un pelo, come nel 1974 Valery Giscard d'Estaing, e anzi nel 2000 Bush non vinse affatto, ma nessuno si pianse mai addosso sulla spaccatura del paese.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …