Umberto Galimberti: La scuola che non vede e che non sa parlare ai ragazzi

16 Maggio 2006
Tutto bene quel che finisce bene. Ma certo l’episodio di "Miriam", la studentessa che ha partorito nelle toilette della scuola, qualche domanda la pone. La famiglia non si è accorta di nulla. E forse per un certo periodo neppure la ragazza, che poi ha custodito il suo segreto perché probabilmente intorno a sé non aveva un mondo né familiare né scolastico a cui poterlo confidare. E già questo la dice lunga sulla solitudine in cui, in una città come Milano, spesso vengono a trovarsi i nostri ragazzi, che non dispongono di un canale di comunicazione neppure per un evento come questo che, per la sua portata, inesorabilmente cambia la vita. Non parliamo poi dei professori, che spiegano e interrogano senza addentrarsi neppure incidentalmente nelle biografie dei loro studenti. Li guardano in faccia, gli studenti, qualche volta? Ne scorgono, non dico i disagi, ma almeno la modificazione del corpo che a chiunque, anche per sbaglio, quando una ragazza è incinta, dovrebbe risultare palese? Così, all’incuria della famiglia, si aggiunge quella della scuola, dove i corpi si notano solo quando si agitano nei banchi. Mi dicono che in quella scuola c’è anche un servizio di assistenza psicologica. Ma che cos’è un servizio di questo genere se gli psicologi incaricati non si attivano per creare canali di comunicazione, limitandosi ad attendere che qualcuno venga a parlare con loro? Perché gli studenti lo dovrebbero fare, se nessuno li conosce, se la macchina scolastica procede nella sua routine senza neppure sospettare che dietro i nomi sui registri ci sono vite non sempre assestate, spesso con problematiche che non si sa a chi riferire? Infine, il candidato sindaco Letizia Moratti, venuta a conoscenza dell’episodio e del suo del tutto casuale buon fine, ha comunicato alla ragazza-madre il numero del suo cellulare per qualsiasi bisogno ella avesse. Ma Letizia Moratti non è stata per 5 anni ministro dell’Istruzione, non ha introdotto sulla carta riforme peraltro molto contestate, e non s’è accorta dello stato in cui versa la nostra scuola in ordine alla difficoltà di comunicazione tra studenti e professori, persino quando quel che c’è da comunicare è che una ragazza sta diventando madre nel segreto della sua solitudine? Per risolvere una situazione così grave basta dare il proprio numero di cellulare a fatto avvenuto? Evidentemente no. E allora diciamolo, che prima delle grandi riforme della scuola, della riorganizzazione degli indirizzi, dell’assunzione in ruolo dei precari, c’è da facilitare e garantire la possibilità per gli studenti di parlare dei loro problemi con i professori. Perché se tra il mondo adulto e il mondo giovanile non passa uno straccio di comunicazione, queste nostre scuole, anche là dove dovessero istruire, certamente non educano. Come questo episodio è lì, in tutta la sua evidenza, a dimostrare.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …