Richard Ford: Il prezzo alto delle case

14 Giugno 2006
In effetti ho cominciato a provare una certa ostilità per Haddam negli ultimi anni che vi passai, quasi dieci anni fa (avevo sempre creduto di amarla). E non che la prospettiva dell’agente immobiliare sia mai stata la norma, poiché entrambi viviamo in città ed esaltiamo proprio l’essenza dello spirito del luogo per ricavarne il massimo profitto. Il fatto è che si tende sempre a essere un po’ distratti dalla vita di tutti i giorni: come un giudice della corte suprema che occupa un posto anonimo come quello di un impiegato alle poste, ma nel suo fertile cervello sottopone a un continuo processo la vita di tutti gli altri per arrivare a capire in che modo giudicarla.
Alla mia vita a Haddam è sempre mancato l’ingenuo senso di sollievo del vero residente, che somiglia a quello del passeggero bloccato in qualche posto dal maltempo e ti fa sembrare l’esistenza quotidiana una specie di bagno caldo in cui ci si rilassa e che non si vorrebbe più lasciare. Ispezionare confini di proprietà, memorizzare restrizioni su rientranze, misurare i limiti della superficie di un gradino e contare passi carrai produce una grave distorsione in quella che altrimenti potrebbe essere una vita municipale informe, illimitata, felice, senza riferimenti e senza pensieri. Gli agenti immobiliari hanno un’attività fondamentale in comune con i romanzieri, che danno alla vita la sua importanza scegliendo, cambiando e narrando nel suo flusso caotico e aggressivo. Gli agenti immobiliari le danno importanza vendendo, che è un’attività più redditizia di quella del romanziere e probabilmente non altrettanto difficile.
Nel 1991, l’anno prima che io me ne andassi e l’anno in cui mio figlio Paul Bascombe si diplomò al liceo di Haddam e partì per l’Ohio per iniziare gli studi in ‟Management delle arti marionettistiche” (era diventato ventriloquo, faceva cento voci buffe, raccontava barzellette e aveva messo in scena parecchi spettacoli di burattini per i compagni di scuola, spettacoli bizzarri ma raffinati), allora Haddam - una città che avevo sentito sinceramente come mia e che era stata la mis en scène delle più solenni esperienze della mia vita adulta - era entrata in una nuova fase, strana e dissonante, dei suoi annali.
In primo luogo, il mercato immobiliare impazzì e gli agenti impazzirono ancora di più. L’atmosfera diventò irrespirabile. Espressioni come prezzo troppo alto, offerta inferiore alla domanda, sorpresa per l’improvviso aumento di prezzo, contrattazione in buonafede, riduzione, fascia alta, furono tutte bandite dal vocabolario. Guerre per spuntare il prezzo più alto, offerte da strozzini, adempienza forzata, rotture contrattuali e tiri mancini presero il loro posto. Le più squallide e quasi inabitabili topaie nei quartieri negri un tempo periferici diventarono di prima scelta, e poi inaccessibili, in un pomeriggio. A Wallace Hill, dove avevo venduto le mie case da affittare a Everick Lewis, fu affibbiata l’etichetta di ‟patrimonio culturale cittadino”, e questo comportò che tutti i neri dovettero smammare a causa delle tasse (molti scapparono nel Sud, anche se erano nati a Haddam). Gli agenti vendevano la propria abitazione con la famiglia dentro e trasferivano moglie, cani e bambini nei condomini di Highstown e Millstone. I neolaureati abbandonavano la medicina e la teologia e gli acquirenti compravano case che valevano milioni di dollari da ventunenni appena usciti da Princeton e Columbia con lauree in storia e in fisica che avevano appena preso la patente.
Nel ‘93, dopo che io me n’ero andato, gli aumenti di prezzo annuali avevano raggiunto il 45%, in nessun posto c’erano più case che uno si potesse permettere e i compratori pagavano il prezzo pieno per sventramenti e ristrutturazioni e in certi casi bruciavano le case finché non restava pietra su pietra. Certe agenzie di Haddam (non la Lauren-Schwindell) chiedevano ai clienti venuti da fuori il loro numero dell’American Express e una caparra di mille dollari solo per fargli vedere una casa. Anche se per la fine dell’anno non c’era più niente da vedere, nemmeno un’area fabbricabile.
Per me personalmente la fine arrivò alla convergenza di tre fatti completamente diversi (e straordinari). Un sabato pomeriggio ero alla mia scrivania a battere un’offerta per una proprietà situata nel parco dietro la residenza dell’ex direttore del Seminario, in fondo alla strada dove una volta avevo abitato io stesso, a Hoving. Non era altro che una baracca di truciolato in rovina che un tempo era stata il deposito di erbicidi velenosi, liquidi corrosivi per sgorgare fogne, antiparassitari ormai vietati contro le termiti e gli scarafaggi del giardiniere basco, e avrebbe provocato l’intervento della polizia ecologica dappertutto tranne che a Haddam, dove le ispezioni non erano richieste. Mentre compilavo i moduli verdi sul computer, guardando ogni tanto nostalgicamente fuori dalla vetrina il traffico pesante di Seminary Street, cominciai - per via della proprietà che vendevo e del prezzo che essa imponeva - a pensare che una forza maligna sembrava dominare pienamente ogni metro quadrato di immobile della costa, e forse anche più lontano. Forse dappertutto.
Questa forza, cominciavo a capire, teneva il patrimonio immobiliare in ostaggio, sottraendolo proprio alla gente che lo voleva e spesso ne aveva un gran bisogno e in ogni caso aveva il diritto di esigerne il possesso. Questa forza, mi rendevo conto, era l’economia. E l’effetto pratico di questa forza - su di me, Frank Bascombe, quarantacinque anni di età, uomo dalle aspirazioni comuni, non eccessive e fino a quel momento realizzabili - era di rendere ogni cosa decisamente troppo cara. Tanto che vendere anche solo un’altra casa a Haddam - e specialmente la tana velenosa di quel giardiniere al posto della quale si andava progettando uno studio-abitazione con grandi vetrate per uno scultore che viveva quasi sempre a Gotham ed era pronto a sborsare 500 mila dollari - sarebbe stato spaventosamente scoraggiante. Quello che pensavo, certo, mentre un fiume di macchine passava lentamente davanti alla vetrina della Lauren-Schwindell e i passeggeri scoccavano occhiate guardinghe a me e alla mia scrivania, sapendo che stavo addizionando cifre da infarto - quello che pensavo era, per il mercato immobiliare, un’eresia. Sarei stato arso sul rogo dell’industria immobiliare dagli agenti miei colleghi (specie dai ventunenni) se l’avessero saputo. Quello che dovevamo fare se avevamo degli scrupoli - e sicuramente qualcuno ne aveva - era soffocarli. Su due piedi. Tirare un profondo respiro, andarsi a lavare la faccia, prendere in leasing una nuova Z-car, comprare un appartamento in un condominio di Snow Mass, imparare a pilotare il tuo Beach Bonanza, e magari prendere lezioni sull’arte del liutaio. Ma inviare tutto il danaro fresco possibile alle Cayman, e passare il resto del tempo mettendo i piedi sul tavolo e ridacchiando: lavorate, schiavi!
Sennonché ognuno ha il diritto di avere almeno un pizzico di senso della giustizia in fondo al cuore. E una parte di questo senso della giustizia - per gli agenti immobiliari, in ogni modo - riguarda non soltanto quanto una cosa dovrebbe costare (qui ci sbagliamo sempre), ma quanto una cosa può costare in un mondo ancora usabile dagli esseri umani. Ogni volta che mi sentivo formulare il prezzo richiesto di qualcosa sul mercato di Haddam, cominciavo a provare prima un senso di vuoto e di nausea e poi l’impulso di scoppiare in una risata isterica in faccia al cliente sbigottito seduto davanti alla mia scrivania nei suoi jeans stirati, nei suoi Tony Lama e nella sua maglietta attillata. E quel senso crescente di agitazione spirituale per me significava che il diritto era violato, e che il senso di utilità che provavo nell’essere quello che ero si era esaurito. Fu una sorpresa, ma anche un grande sollievo. Era come l’esperienza dello sportsman che è andato a caccia di anatre in palude per tutta la vita, ma che un giorno, piantato in mezzo all’acqua fino al culo, con il cielo argentato e i neri puntolini all’orizzonte che cominciano a prendere la forma di un uccello, si rende conto di aver ucciso abbastanza anatre per una vita.
Il secondo modo in cui mi accorsi, a Haddam, di essere arrivato alla fine dalla corda fu più semplice, anche se più clamoroso e più determinante nel farmi cambiar vita. Durante l’estate del 1991 - quando quel pazzo di Bush senior stava ancora arruffando le sue penne d’anatra sulla scia di Desert Storm - la vendita di una casa, nella piccola Quarry Street, di fronte alla grande chiesa cattolica di San Leo, culminò nell’irruzione di una squadra di poliziotti armati fino ai denti quando l’inquilino - proprietario si rifiutò di lasciare libera la casa per la quale aveva già firmato le carte. L’uomo uscì di corsa dallo studio dell’avvocato e attraverso i prati dei vicini rientrò nella casa di famiglia, dove si appostò davanti alla finestra di un abbaino e, usando una scacciacani, tenne a bada la polizia di Haddam e un prete ostaggio-negoziatore di San Leo per trentasei ore prima di arrendersi e farsi condurre con aria di sfida fuori dalla porta.
(Traduzione di Vincenzo Mantovani - © Copyright Richard Ford)

Richard Ford

Richard Ford, nato nel 1944 a Jackson (Mississippi), è considerato uno dei più grandi scrittori americani contemporanei. Con Il giorno dell’Indipendenza (1995; Feltrinelli, 1996) ha vinto i due premi più prestigiosi …