Marco D'Eramo: Oriana, conformista nel girone degli iracondi

19 Settembre 2006
Forse è riuscita a provare l'ultima soddisfazione, Oriana Fallaci, di una vita che non le ha certo lesinato riconoscimenti, e cioè vedere il pontefice romano Benedetto XVI darle retta e attaccare con inusitata violenza l'Islam: solo due anni fa, nel libro La forza della ragione, Fallaci aveva rimproverato infatti Karol Wojtyla per le sue aperture agli arabi. Quegli arabi che ‟si moltiplicano come topi” e che ‟invadono l'Europa”, ormai un'‟Eurabia”.
Fallaci è stata la scrittrice italiana più celebre nel mondo: le fortune dei nostri connazionali all'estero non sono proprio lusinghiere: nell'800 l'intellettuale italiano più noto a livello internazionale fu Cesare Lombroso e l'italiano del '900 più ricordato fu Francesco Forgione, alias Padre Pio. A giugno, il molto trendy settimanale ‟The New Yorker” ha dedicato a Fallaci un ritratto, ‟The Agitator”, di 22 cartelle. I suoi libri sono tradotti in una quarantina di lingue.
E in realtà Fallaci è stata una (chiassosa) testimone del suo tempo. La parte migliore della sua produzione è costituita dalle interviste ai potenti della terra, condotte tra gli anni '60 e '80 con ‟uno stile pugilistico” (‟New Yorker”): Yasser Arafat, Golda Meir, Indira Gandhi, Hailé Selassié, Ali Bhutto, Deng Xiaoping, Henry Kissinger costituivano ‟la sua collezione di scalpi: Fallaci non si è mai accomiatata da un suo intervistato senza averlo scuoiato” (ibidem).
Ma c'è un secondo senso in cui è stata una cartina di tornasole del suo tempo: è il suo conformismo. Non è stata tanto una voltagabbana, come qualcuno potrebbe accusarla, quanto ha sempre fiutato il vento. Negli anni '60 Fallaci fu critica sulla guerra americana in Vietnam. A cavallo degli anni '70 si oppose ai colonnelli greci: ebbe una storia d'amore con Alekos Panagulis che da loro era stato condannato a morte prima di essere esiliato e su di lui scrisse il libro Un uomo (1979). Quando in Italia infuriava il dibattito sull'aborto, scrisse il romanzo Lettera a un bambino mai nato, divenuto un best-seller internazionale. Nell'83 s'impietosì anche sulle vittime libanesi in Inshallah.
Dopo l'11 settembre 2001 la sua pietà non avrebbe però più trovato spazio per gli arabi. Con un'interminabile ‟lenzuolata” lanciò dalle colonne del ‟Corriere della Sera” l'ululato che l'ha definitivamente proiettata sulla scena internazionale come invasata Cassandra della civiltà europea. Anche qui interpretando umori profondi dell'Italia un po' leghista e un po' cristiana. In un'intervista a ‟Playboy” diceva che i gay ‟sculettano e dimenano la coda”, proprio come i ministri leghisti parlano di ‟culattoni”. E come i leghisti, aveva una fissazione per l'apparato urinario-genitale: i musulmani somali ‟lasciano tracce gialle di urina sul marmo profanando la cattedrale di Firenze”: di urina immigrata parla anche a proposito di Piazza San Marco e paventa il giorno in cui i musulmani ‟cagheranno nella Cappella Sistina”. Urlando a gran voce opinioni conformi, Fallaci è riuscita, proprio con la sua sguaiatezza, a esporle in modo tanto eccessivo da apparire controcorrente. Se avesse dovuto trovarle un posto nell'Inferno, il suo più illustre concittadino l'avrebbe condannata nel girone degli iracondi. Il suo rapporto col Messico costituisce il migliore esempio della sua parabola: nel 1968 fu imprigionata insieme agli studenti che protestavano contro il governo; nel 2006 il ricordo delle angherie sofferte in quelle prigioni si riduce a puro razzismo anti-immigrati messicani negli Usa.
Prima di morire, Fallaci voleva disegnare una vignetta su Maometto settantenne con le sue nove mogli, di cui una bambina, e una cammella col burqa. E diceva di voler far saltare con la dinamite la moschea che dovrebbe sorgere a Colle Val d'Elsa. Perciò non è del tutto casuale che la vita della giornalista-scrittrice si concluda mentre papa Ratzinger sente l'impellente bisogno di citare un'invettiva di 700 anni fa dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo: ‟Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane”. C'era un vero feeling tra la l'atea biliosa toscana e il teologo bavarese che un anno fa l'aveva ricevuta.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …