Giorgio Bocca: Il grande azzardo della missione in Libano

18 Ottobre 2006
Siedono in Parlamento, vengono intervistati in televisione e sono a dir poco dei disinformati.
Chi? I deputati che nei giorni scorsi hanno chiesto, anzi preteso, che i mille soldati italiani della missione di pace nel Libano non si limitassero a presidiare il loro campo nei pressi di Tiro, ma passassero a disarmare gli Hezbollah e magari a impacchettare il loro capo Nasrallah. Il quale, intanto, stava per fare la sua rentrée pubblica a Beirut davanti a mezzo milione di militanti a cui diceva che l'arsenale del movimento si è arricchito di mille missili e può mettere in campo 40 mila combattenti, cioè più di quelli che hanno tenuto testa all'esercito di Israele che ha fama di essere il più forte del Medio Oriente.
Tanto per dire che certi politici parlano di cose che non sanno e ignorano il rischio estremo della spedizione che viene presentata come il massimo successo della nostra politica estera e come la fine dell'unilateralismo americano, cioè degli Stati Uniti che comandano e degli alleati che obbediscono.
Davvero? I 3 mila caschi blu presenti nel Libano, che saranno 5 mila entro un mese, sono una forza neutrale che si interpone fra i contendenti? A noi pare che più che interporsi occupi una parte del Libano e protegga i confini di Israele la cui difesa è un dogma per gli Stati Uniti. E la difesa dell'unico Stato democratico della zona sarà anche una scelta logica per l'Occidente, ma resta il fatto che è una scelta di campo non gradita dall'islamismo che monta.
Se chiamiamo le cose con il loro nome, la spedizione delle Nazioni Unite sospende la partita fra Israele e il Libano degli Hezbollah, con un Israele integro e un Libano semidistrutto. Gli onorevoli che chiedono allo schieramento debole e scombinato delle Nazioni Unite di disarmare una milizia di volontari superiore in uomini, armi e appoggiata totalmente dalla popolazione che sventola le gialle bandiere, pare che non si rendano conto del rischio estremo di questo intervento. I caschi blu, a cui si chiede di controllare il territorio che arriva fino al fiume Litani, sono praticamente circondati dagli Hezbollah e non sono in grado di imporre il blocco navale. Le armi, gli uomini, i mezzi forniti dall'Iran e dalla Siria continuano ad arrivare, si calcola che gli aderenti a Hezbollah siano tre milioni e che abbiano in mano il governo del paese.
Il futuro della spedizione sarebbe insomma affidato non alla sua forza reale, ma al prestigio dell'Onu e dei paesi che stanno dietro l'Onu. Ma quanti sono realmente disponibili al confronto armato? Per ora, a quanto pare, pochi e per impegni ridotti.
L'euforia marziale degli Hezbollah, che continuano a proclamarsi vincitori del confronto con Israele, sarà anche l'euforia dei deboli che per la prima volta hanno tenuto testa ai forti, ma a un carissimo prezzo: la distruzione delle città e delle pubbliche strutture.
Ma questa euforia per la prima volta c'è e sembra pronta a nuove prove di forza che potremmo anche chiamare follie senza allontanare dai nostri soldati il rischio di punizioni feroci, di batoste come conoscemmo nella nostra storia coloniale.
L'iniziativa della spedizione è un merito o un azzardo? E nella nostra storia gli azzardi non li abbiamo pagati a carissimo prezzo? Su questo giornale si è fatto un esame delle armi e dei mezzi di cui dispongono i nostri soldati. Sconsolante al punto di ricordare la impreparazione dell'esercito fascista. Non c'è una parte del nostro arsenale che non sia insufficiente, tecnologicamente superato, quantitativamente inadeguato. E sembra tornare la tentazione, che fu non solo fascista, ma risorgimentale, di sedersi comunque al tavolo della pace per la spartizione del bottino.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …

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