Giorgio Bocca: La vittoria della camorra

03 Novembre 2006
Mi scrivono da Napoli: lei si è domandato se una grande città può accettare un’occupazione delinquenziale? La risposta è sì: la grande città che dovrebbe ribellarsi all’occupazione è purtroppo composta da troppi cittadini impigliati nei vizi della Camorra. Napoli dovrebbe ribellarsi contro se stessa e questo francamente è impensabile. In definitiva noi crediamo che almeno per ora la criminalità abbia vinto. Napoli ha toccato il fondo. è arrivata al limite oltre il quale la convivenza è impossibile? Difficile dirlo perché Napoli ha due cose che a gran parte delle città italiane sono sconosciute: la plebe e la metropoli antica come Alessandria, come Calcutta come Bombay dove un numero sterminato di persone sopravvivono prima di vivere, dove ogni giorno folle enormi si mettono in moto cercando la sopravvivenza senza sapere bene dove trovarla. A Milano a Torino persino a Palermo ci sono dei poveri ma a Napoli c’è la plebe che è la naturale alleata della delinquenza anarcoide. Siamo oltre il limite? Chi può dirlo! Durante la rivoluzione liberale del Settecento si arrivò all’antropofagia, nei giorni dell’occupazione americana e francese di colore nell’ultima guerra tornarono commerci umani terrificanti descritti da Malaparte. Non a caso un ministro come Cirino Pomicino impreca ancora ‟contro il giacobinismo di alcuni imprenditori che hanno il solo torto di essere napoletani”. Le forme di complicità con la Camorra sono innumeri e spesso inconsapevoli. Si vede semplicemente entrando nei negozi, negli uffici, guidando l’automobile, in questa lotta di tutti contro tutti che cerca la protezione dei più violenti. La Camorra ha avuto nella grande città una funzione decisiva: assicurare la sopravvivenza dei marginali ma impedire che essi dessero l’assalto ai regolari. I marginali sono massa, centoquarantaseimila famiglie hanno fatto domanda per il sussidio di povertà, solo ventimila l’hanno ottenuto, un esercito permanente di poveri di fronte ai quali sta la grossa minoranza dei ricchi che fanno politica, accumulano enormi patrimoni senza produrre sviluppo, senza cambiare i rapporti sociali. La prima grande complicità di questa Napoli è nella appropriazione se non di tutti, di moltissimi dei beni pubblici. Racconta Amato Lamberti: ‟Sono stato presidente della provincia e in sei mesi ho cancellato i parcheggi abusivi, poi ho cercato di combattere l’abusivismo degli ambulanti ma ho capito che la Camorra non avrebbe mai permesso che si abolisse qualcosa per Napoli di naturale, di obbligatorio. Ho fatto tracciare delle righe nel mercato di San Gregorio Armeno per far rispettare le licenze ma è scoppiata la rivoluzione a capo della quale c’erano gli impiegati del Comune che tenevano i loro mercatini negli scantinati. I dipendenti della Provincia erano il quadruplo, il quintuplo del necessario. Che dovevo fare? Dare a ciascuno una scrivania, un computer? A che sarebbe servito far passare una pratica per trenta, per cinquanta scrivanie? La corruzione è dei politici più che dei camorristi, io pensavo al funzionamento degli uffici, loro alla clientela elettorale. Nel 1993 mi hanno affidato l’assessorato all’Ordine pubblico ma per non offendere i napoletani lo hanno chiamato assessorato alla Normalità. Poi mi hanno dato l’assessorato all’Annona. In due giorni capii che era un covo di ladri, gli impiegati si portavano a casa le licenze per rivenderle agli amici. Adesso faccio il professore. L’osservatorio della Camorra è diventato una rivista”. "Nec vitia nostra nec remedia pati possumus" scriveva Tito Livio e Napoli è così, ogni rimedio ai mali di Napoli li ingigantisce perché, scrive il lettore napoletano, ‟le persone non colluse, non simpatizzanti e anche solo culturalmente contaminate sono pochissime”. Le forme di complicità sono infinite. I pescatori di Pozzuoli si fanno dare dallo Stato il gasolio a prezzo politico, basso e poi lo rivendono a borsa nera. Il camorrista Pasquale Cirillo di Pompei ruba un Tir carico di salumi della ditta Citterio e pubblica un annuncio sui giornali "Fiera del salame a Pompei". E per l’intera giornata arrivano ristoratori, commercianti, ambulanti privati felici di acquistare merce rubata. Da Napoli gli ammalati di cancro fuggono. Ci sono grandi ospedali con centinaia di posti che però figurano sempre occupati. Gli ammalati ricchi vanno nelle cliniche milanesi o svizzere, i poveri muoiono. Nella città dove il massimo valore è il denaro, il profitto, si occupava di ricette mediche false una certa Amalia che ne passava centinaia ai laboratori di medicine inutili, un giro di cinquemila prescrizioni false, centoquaranta arrestati. La procura stima che le ricette false degli ultimi tre anni siano state trecentomila. Ed è di pochi anni fa lo scandalo delle fustelle false in cui furono implicati centinaia di medici. La complicità da rassegnazione funziona in tutta l’edilizia, il pizzo sulle costruzioni è inevitabile. Si apre un nuovo cantiere e passano gli ispettori della Camorra che chiedono di parlare con "o masto" il direttore dei lavori, se non c’è dicono di fargli "l’ambasciata". Se il direttore dei lavori rifiuta di trattare sparano a lui o ai muratori. A Napoli come in Calabria c’è chi chiede l’intervento dell’esercito, ma che può fare l’esercito se quelli che deve proteggere dalla corruzione sono i primi a chiedere sussidi inutili, favori immeritati, esenzioni illecite? L’esempio più lampante della complicità napoletana è la storia della linea uno della metropolitana. Non c’è un pezzo sia pur piccolo di quella opera pubblica che non sia stato concertato fra le ditte costruttrici, le autorità municipali, gli abitanti, e la Camorra, che ha partecipato all’opera con la complicità dei tecnici, municipali e statali talché si arriva all’incredibile che le prove delle truffe sono scritte con i computer del Municipio o della Provincia, che le riunioni per mettersi d’accordo sui profitti illeciti sono state tenute nei palazzi del potere. Napoli è il luogo in cui dovendo ognuno pagare i favori concessi dagli altri, dovendo bussare a tante porte, ricorrere a tante protezioni, tutti fanno una vita grama, carica di ansia, umiliante in questa città che secondo i retori dovrebbe essere la città "natura". Una complicità generale si è accompagnata alla generale permissività. Sino a forme che sfidano il credibile. Una ditta per lo sgombero dei rifiuti ha fatto affari miliardari scavando delle buche nell’hinterland per seppellirvi l’immondizia. I padroni dei terreni non lo sapevano? Dicono: ‟Noi avevamo creduto alla storia che i nostri terreni avevano una natura interessante che doveva essere esaminata. Solo tempo dopo abbiamo capito, solo dopo aver sentito le terribili puzze che arrivavano dall’immondizia. Nelle terre del Casertano sono state sepolte montagne di residui ferrosi. I fratelli Perillo, padroni della Italmetalli, non ci avevano spiegato”. Il mistero dei rifiuti, che periodicamente sommergono la città, è un mistero di Pulcinella. Tutti collaborano allo scempio. Nel centro direzionale le maestranze hanno subito imparato a fare pulizia: gettano dall’alto dei grattacieli cartoni e carte nelle strade sottostanti. Ci sono quartieri costruiti negli anni delle Mani sulla città sull’orlo di frane e burroni. La Camorra vi getta i rifiuti, gli abitanti respirano aria puzzolente, ma non c’è rimedio, chi raccoglie le immondezze in quei precipizi, se non si trova neppure il tempo e il modo di togliere quella attorno alla stazione centrale dove ogni giorno passano centinaia di migliaia di viaggiatori? Tutti sanno perché i rifiuti seppelliscono la città: la Camorra impedisce di raccoglierli, sabota gli impianti, fa scioperare i netturbini, corrompe i funzionari dei controlli. Avviene l’impensabile. A Montagna Spaccata, che nella sua povertà era un eden di fiori e di piante, la Camorra ha messo una discarica puzzolente per convincere i proprietari delle ville a svenderle. La Camorra ti avvelena la terra e l’aria e se non basta ti uccide, ma è sempre più numeroso il popolo che la imita, la serve e ci racconta le sue leggende metropolitane. A Napoli tutto è possibile: per dire che una giustizia incapace di arrestare ladri e assassini faccia scoppiare lo scandalo del calcio che riguarda le grandi squadre del Nord e che difende accanitamente le sue indagini come se a Napoli non ci fosse nulla di più interessante. La storia e i suoi accumuli portano altri rebus alla sventura napoletana, come il culto della furbizia e del raggiro, la arroganza del più forte. Sembra che alle origini della Camorra ci sia stata una associazione spontanea di delinquenti dediti alle estorsioni. Se così è la Camorra è più spontanea, più naturale della Mafia siciliana, della Sacra Corona pugliese e della 'Ndrangheta calabrese che in casa Alvaro veniva chiamata "la società" come ora a Napoli la Camorra viene chiamata "il sistema".

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …