Gian Antonio Stella: Pecunia non olet. E la ex vandeana Irene difende Lele Mora

14 Dicembre 2006
Peccato non ci sia più Sergio Saviane. Chissà come si sarebbe divertito, l’inventore di neologismi immortali quali ‟mezzibusti”, ‟pippibaudi”, ‟velinari”, a leggere l’intervista di Irene Pivetti sul suo disinvolto impresario Lele Mora. Ai tempi in cui la Signorina Presidente della Camera si dava arie da statista manco fosse l’imperatrice Teodora, Sergio aveva osato scrivere che pareva una ‟gobbetta soppressada”, scherzosa definizione che i veneti danno di quelli che hanno la faccia, il pallore, l’aria da gobbi pur non essendo gobbi. E si era beccato una querela che, benedetta da un giudice che aveva lui pure scambiato la futura sexy-sciura Brambilla per l’imperatrice Teodora, era sfociata addirittura in una condanna. Pagata di tasca sua, giacché ‟La Voce” non c’era più, da quel gentiluomo di Indro Montanelli. Ma ve la ricordate, all’epoca? Portava al collo la ‟croce della Vandea”. Indossava severi tailleur modello signorina Rottermaier (vedi alla voce Heidi) bacchettando tutti quelli che osavano sorridere della sua solenne postura: ‟Il Presidente della Camera non ha sesso”. Diceva di avere sul comodino libri ‟su santa Teresa”. Sceglieva come slogan elettorale: ‟La tua anima a Dio, il tuo voto a Bossi”. Bacchettava i cattolici troppo timidi: ‟La legge sull’aborto va rivista da cima a fondo”. Era così presa da questo ruolo di pulzella dell’ortodossia, che tuonava sul ‟preciso dovere di un cattolico di adoperarsi per convertire gli altri senza lasciarli nell’errore”, denunciava Babbo Natale come ‟un ciccione commerciale”, spiegava di ‟parlare spesso” col suo angelo custode e arrivava a teorizzare: ‟È dovere di un cattolico non sottoscrivere acriticamente l’articolo 18 della dichiarazione dei diritti dell’uomo che garantisce a ogni persona la possibilità di professare il proprio culto. L’obiettivo è la costruzione di una società nella quale il culto cattolico sia condiviso da tutti”. Per non dire di quella volta che, non più presidentessa della Camera (dove ha incredibilmente ancora un ufficio), vinse la pigrizia (96% di assenze come deputato) per presentare una interrogazione dove chiedeva fosse impedito alle edicole dalle parti del Vaticano di esporre giornali porno. Insomma, direbbe Saviane, una ‟suoreta soppressada”. Pochi anni et voilà, eccola in cuoio e borchie sguainar la spada per difendere stavolta Lele Mora coinvolto nell’inchiesta di John Woodcock. Lele che, stando al formidabile ‟Catalogo dei viventi” di Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, dice di amare ‟la correttezza e la giustizia” ma che purtroppo è stato arrestato in un’inchiesta su un giro di cocaina (‟mai pippata”), accusato a Verona di procurare amichette ai calciatori, rinchiuso in galera per truffa (‟Non era una truffa. Uno mi aveva pagato l’affitto con assegni postdatati. E per evitare che li incassassi mi ha denunciato. Anche qui tutto si è risolto in nulla”), imputato per una evasione miliardaria: ‟Ho pagato il mio condono e tutto è andato a posto. Quando c’è un forte giro di soldi, qualche errore si può fare, capita a tutti. Ho sbagliato, ho pagato. Non erano cinque miliardi. Un miliardo e otto”. Insomma, proprio il tipo che un tempo avrebbe confermato l’erinni Irene nelle sue marmoree convinzioni: ‟Se un giorno mia figlia mi chiedesse un consiglio, le sconsiglierei la politica e lo spettacolo: sono mondi umanamente scadenti”. Una manciata di anni dopo, a suo agio in entrambi quei mondi, ecco come difende il suo Lele: ‟Non è Biancaneve, ma l’ho scelto proprio per questo. Prima sono sempre stata seguita da avvocati, tutti gran signori. Però portavo a casa un contratto che valeva la metà”. Traduzione: al diavolo i signori, pecunia non olet.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …