Marco D'Eramo: Una rivoluzione molto “calda”

05 Febbraio 2007
Il vento è cambiato, e soffia forte da Parigi. È un vento torrido, dovuto all'effetto serra che inesorabile surriscalda il nostro pianeta vagabondo nello spazio. Ma per la prima volta, ora le sue folate impetuose scardinano i pregiudizi, piegano persino la granitica logica dei consigli di amministrazione. Perché il rapporto (il quarto dal 1990) dell'”Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc)” non lascia spazio a dubbi: non solo in questo secolo la temperatura media annua crescerà di 2-4 gradi, non solo il livello dei mari s'innalzerà tra i 18 e i 65 cm, ma - soprattutto - si è innescato un processo irreversibile di riscaldamento che durerà almeno un millennio e che renderà tropicali le zone temperate.
Da decenni lanciavamo l'allarme sullo scempio che la specie dei bipedi umani stava compiendo degli equilibri naturali, in una stolta fiducia nell'infinita capacità del nostro pianeta di autorigenerarsi. Ma ci prendevano per (ingenui) catastrofisti. Il presidente George Bush sfotteva l'ecologia. Gli industrialisti di destra e di sinistra ci trattavano da irresponsabili: i primi perché non accettavamo di pagare i prezzi delle sorti magnifiche e progressive; gli altri perché in nome dei koala e delle mammole condannavamo alla disoccupazione la classe operaia. Le industrie petrolifere pagavano fior di esperti perché contestassero le basi scientifiche dell'effetto serra; anche in occasione del rapporto di Parigi, un gigante petrolifero (Exxon) e una fondazione Usa di estrema destra (American Enterprise Institute) hanno offerto 10.000 dollari a ogni esperto che ne screditasse le conclusioni.
Ma ora, appunto, il vento è cambiato. Grazie agli sciatori senza neve e alle maniche corte in gennaio, ai tornado tropicali in Olanda, al ripetersi di disastri - dallo tsunami a Katrina -, all'improvviso l'opinione pubblica ha troppo caldo. Il clima è diventato il tema di discussione più comune nei bar e nei treni. Persino i magnati della terra riuniti a Davos hanno posto l'ambiente tra le priorità più urgenti, loro che fino a ieri se ne sbattevano allegramente: l'unico termometro che contava era l'indice Dow Jones di Wall Street. Ma ora scoppia la fifa blu: e se il mercurio che sale facesse crollare il Nasdaq? Per la prima volta insomma c'è un consenso generalizzato sul fatto che bisogna fare qualcosa. Somiglia un po' alla lattuga di Cernobyl, quando, nel 1986, il nucleare fu imbandito sulla tavola degli italiani. Per la prima volta i singoli cittadini - la cosiddetta «gente» - sarebbero disposti a cambiare abitudini di consumo e di spreco. È una novità davvero straordinaria e - pur nel disastro naturale - positiva.
Ma quest'occasione rarissima di rivoluzionare il modello di sviluppo non sarà sfruttata, per lo meno non in Italia. Per il nostro valoroso gabinetto Prodi, con tanto di ministri verdi, tutto rimane come prima. Bisognerà pur trarre un bilancio di quello che hanno fatto questi ministri dal 1996 al 2001 e dal 2006 a ora: praticamente niente, e l'Italia è ultima in Europa quanto ad adempimenti del trattato di Kyoto. La misura più ecologica è stata la rottamazione per vendere più auto, più frigoriferi, più tutto, ma in nome della natura. I nostri verdi si fanno scavalcare persino da un vecchio, corrotto trombone gollista come Jacques Chirac che, alla vigilia di perdere il potere, si reinventa profeta ambientalista.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …