Giorgio Bocca: Maglie colorate e doppiopetti, così il terrore litigava sul look

20 Febbraio 2007
Chi sono questi nuovi terroristi? Diversi o identici a quelli degli anni Settanta? Certamente molto simili, figli della stessa incapacità di adeguarsi al mondo come è. Ho chiesto trent’anni fa a Giorgio Semeria, brigatista del gruppo storico, ciò che potrei, che vorrei chiedere oggi ai terroristi di ultima generazione: abbiamo età diverse, storie diverse, ma siamo cresciuti nello stesso Paese, letto gli stessi libri, gli stessi giornali, partecipato agli stessi mutamenti della produzione e delle tecniche, agli stessi andirivieni della storia... e dunque come è possibile che abbiamo visto il mondo, la vita in modi così diversi? ‟Non so dirtelo - rispose allora Semeria - so solo che avevo nausea dello stato delle cose, terrore di doverlo accettare, di essere condannato a vivere in quella gabbia”. Guardo i nuovi terroristi, leggo le loro dichiarazioni, le loro storie e riconosco la patologia di quelli che sono come sono e non possono rinunciare a quello che sono, impazienti, ossessivi, presuntuosi, decisi a ridefinire tutto, la società, se stessi, la produzione, il tempo libero. Sicuri delle loro analisi quanto più sono lontane dalla realtà, marxisti quanto più sideralmente lontani dal marxismo, dallo storicismo,
E il terrorista, il brigatista vuole tutto e subito, vuole soprattutto uscire dalla vita come è, avere una vita fuori dalla norma, sordo a ogni richiamo della ragione, imprudente quanto più cerca di essere prudente, uno che entra e esce dalle gabbie che fabbrica con le sue mani. Il terrorismo è comprensibile solo perché esiste, evento irresistibile quando si alza nel mondo il vento ardente del furore e il terrorista si alza e va alla morte degli altri e sua. Mi ha raccontato Lauro Azzolini: ‟Ero a Reggio Emilia da ragazzo e andavo in giro in camioncino a distribuire bombole di gas. Portavo con me anche una bomboletta di vernice rossa spray e scrivevo sui muri dappertutto: W le Brigate rosse. Di brigatisti allora a Reggio ce ne erano tre, Ognibene, Bonisoli, Franceschini. Capirono che c’ero anche io e io andai con loro”. è la incontenibile sindrome terrorista che li fa incontrare e che se li trascina dietro verso la inevitabile cattura, la inevitabile galera. Diversissimi fuori, identici dentro. Ricorda Morucci: ‟Il primo incontro con i compagni del nord lo ebbi a Milano. Io e Adriana arrivammo da Roma su un’auto spider color argento, in jeans e maglioni colorati. Ognibene e Franceschini, i compagni del nord, indossavano dei doppiopetti scuri come impiegati delle pompe funebri. Capii che non vedevano l’ora di separarsi dalla nostra imprudenza romanesca”. La follia comune teneva assieme le Br e gli antichi vizi dell’uomo si riproducevano nel loro moralismo settario. Si stenterà a crederlo ma anche nel terrorismo, anche nel quotidiano rischio della morte le ambizioni del comando, dell’affermazione personale, le debolezze personali restavano e si nascondevano. C’erano due donne nella colonna torinese che più diverse non potevano essere: la Vai, aggressiva al massimo, uscita da anni di miseria e di malattie, con un rancore sociale divorante; e la Ponti, un donnino grazioso e feroce capace di uccidere senza la minima esitazione che si lamenta perché il "logistico" non vuole pagarle un sapone speciale per la sua pelle delicata. Un giorno la sentono dire: ‟Le Br mi hanno aperto degli spiragli, certe cose della vita non mi bastano più”. Ha piantato un marito infermiere per far carriera nelle Br e la fa con fredda determinazione. Micaletto, il comandante della colonna genovese, la capisce di istinto e glielo dice, quando muore Piancone, il suo compagno, e lei non ha un momento di turbamento: ‟Tu sei contenta che il tuo uomo sia caduto, così puoi entrare nella direzione del fronte”. Per gli intellettuali carichi di prudenze e di dubbi pratici Micaletto è la quintessenza del brigatista, è ‟un brigatista per intenditori”, come dice il professor Fenzi. ‟Parlava pochissimo ed era sempre molto ironico. Non rispondeva volentieri, a volte canticchiava: "è inutile che bussi, qui non ti risponderà nessuno", ma comunicava sicurezza, aveva la capacità di essere lui l’organizzazione. La impenetrabilità delle Br genovesi è stata tutta opera sua”. E nelle Br c’era Mario Moretti, un personaggio drammatico che ha accettato di parlare con me del tema centrale, del rovello di un terrorista: la rivoluzione ti giustifica se uccidi? ‟Moretti - gli chiedevo nei nostri incontri a San Vittore, quando cercai di capire il terrorismo - ma era proprio necessario uccidere l’avvocato Croce solo perché presidente dell’ordine degli avvocati torinesi al tempo del primo processo alle Brigate rosse? Bisognava proprio piantargli una pallottola in testa per dissuadere gli avvocati torinesi dal partecipare al processo?”. ‟Noi - rispondeva - non abbiamo ucciso l’avvocato Croce come persona, ma la sua funzione”. è un ragionamento politico a cui un terrorista non può rinunciare ma è un dubbio che si porta dietro insoluto per tutta la vita.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …