Giorgio Bocca: Non si fa la guerra con gli aerei da trasporto

28 Febbraio 2007
Il ministro della difesa Arturo Parisi dovrebbe decidersi: che ci fanno i nostri soldati in Afghanistan, la guerra o la pace? Sono laggiù, come dice, per tenere fede al fiero proposito della Nato di "non permettere che l'Afghanistan ritorni al Medioevo" nelle mani dei talebani, combattendoli, oppure per tirare a campare? Ridefinendo la loro missione, ha detto Parisi, "in termini prevalentemente di sostegno alla ricostruzione, allo sviluppo economico e sociale".
I talebani, per dire la ribellione afgana, sta per scatenare l'offensiva di primavera e il nostro ministro parla di ricostruzione e di sviluppo? Gli alleati ci chiedono di presidiare le provincie del Sud dove la ribellione cresce e spadroneggia e noi mandiamo un aereo da trasporto e due ricognitori senza pilota? Ma non è una provocazione?
Il nostro ministro della Difesa è per la pace e non per la guerra, dice che l'unica exit strategy percorribile dalla Nato è di passare entro quattro anni la difesa del Paese alle autorità afgane. Vale a dire a quelli che hanno dimostrato di non essere in grado di farlo. Se c'era un modo per far crescere sospetti e malcontento fra gli americani e gli inglesi che combattono la ribellione sul campo, con morti e feriti, era proprio questa riedizione dell''armiamoci e partite' di cui si lamentavano i tedeschi al tempo delle rivolte cinesi. E si pensa davvero che un governo possa reggere con questi giri di valzer, con questi giochi di parole?
Riemerge, incontenibile, dopo la parentesi dura e schietta della scelta resistenziale, l'antico vizio italiano di fare le guerre e di vincerle facendole combattere agli altri e di riscrivere poi, a nostro comodo, la storia. Per esempio quella risorgimentale, nascondendo che nei giorni gloriosi di San Martino e di Solferino il numero dei soldati piemontesi, nonostante le promesse di Cavour, era ancora inferiore a quello dei francesi e la nostra artiglieria pesante era ancora dalle parti di Alessandria, a centinaia di chilometri dal campo di battaglia. Toccò al re Vittorio Emanuele ricordare all'esercito che se non si combatteva con coraggio, San Martino, cioè il trasloco, la ritirata, l'avrebbero fatta loro, i piemontesi. Nell'ultimo conflitto mondiale facemmo il capolavoro della 'non belligeranza', cioè di stare alla finestra in attesa di capire chi avrebbe vinto la guerra e la grande furbata fu di stare con i tedeschi che non avevano il dominio del mare e contro gli inglesi che ce lo avevano, sicché perdemmo subito l'impero e ci avviammo alla sconfitta.
Che cosa faccia pensare al ministro della Difesa che nel 2011 "ci sarà una scadenza reale per il conseguimento degli obiettivi", cioè la capacità del governo Karzai di assumere la responsabilità della sicurezza e la costruzione delle istituzioni democratiche, per ora non è affatto chiaro. Per cui i casi sono due: o si sta in Afghanistan e si combatte nella speranza che la ribellione venga domata o si torna a casa.
Ma se non si vuole, o non si può, uscire dall'alleanza atlantica, è giocoforza combattere come fanno gli americani e gli inglesi senza ricorrere a furbate come quella di mandare un aereo da trasporto e due ricognitori.
La sinistra radicale non vuole combattere? Non vuole entrare in guerra in un mondo pieno di guerre? Si farà un governo senza di lei. Impossibile, si dice, non si esce dal sistema bipolare, non si torna al centrismo, all'ammucchiata. E se questa sfida alla matematica, alla maggioranza parlamentare fallisse, se fosse impossibile fare un governo di centro? Tranquilli un governo si farà comunque, non si è ancora trovato il sostituto di un governo che assicuri ai privati furbi e potenti la possibilità di arricchirsi con la pubblica finanza.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …