Enrico Franceschini: Quei libri che non finiamo mai di leggere

14 Marzo 2007
Ci sono i libri che, quando li prendi in mano, non riesci più a buttarli giù. E ci sono i libri che, quando li butti giù, non riesci più a prenderli in mano. Libri questi ultimi troppo lunghi, troppo difficili, talvolta magari troppo brutti: e che perciò molti lettori abbandonano sul comodino, poi spostano sugli scaffali della libreria, dove non vanno più a cercarli. Di questo genere particolare di opere, "i libri che la gente non riesce a finire", è uscita ieri in Gran Bretagna una classifica: comprende alcuni dei maggiori best-seller degli ultimi anni e non pochi capolavori della letteratura mondiale, da Harry Potter e il calice di fuoco, quarta avventura del maghetto inventato dalla penna di J. K. Rowling, a Ulisse di James Joyce, da L’alchimista di Paulo Cohelo a Guerra e pace di Lev Tolstoj, da My life, l’autobiografia per cui Bill Clinton ha ricevuto un compenso di otto milioni di dollari, a My side di David Beckham, che quando uscì in Gran Bretagna quattro anni or sono si guadagnò il titolo di "autobiografia andata esaurita più in fretta" di tutti i tempi. Altri autori entrati nei primi posti della graduatoria dei libri che non vengono finiti includono Salman Rushdie (I versi satanici), Fiodor Dostoevskij (Delitto e castigo), Louis de Bernieres (Il mandolino del capitano Corelli) per quanto riguarda la narrativa, e Margaret Thatcher (The Downing street years), Lynn Trusse (Eats, shoots & leaves, un manuale di punteggiatura diventato un best-seller mondiale), Paul McKenna (I can make you thin, un manuale per dimagrire), nella saggistica. ‟E’ il club letterario a cui nessuno scrittore vorrebbe appartenere”, ironizza il Guardian, dedicando una pagina al fenomeno. Ma se i libri di questi popolarissimi e in alcuni casi stimatissimi autori non vengono letti fino in fondo da un consistente numero di lettori, bisogna dire, la colpa non è tutta degli autori: c’entra anche l’attitudine di molti lettori verso l’oggetto cartaceo rettangolare, racchiuso tra due copertine rigide o morbide, chiamato "libro". Il sondaggio che ha elaborato la graduatoria dei libri lasciati a metà, infatti, fornisce pure una serie di istruttive percentuali: il 55 per cento degli interpellati riconosce senza complessi di acquistare libri soltanto a scopo di decorazione, come accessorio per l’arredamento o come status delle proprie conoscenze intellettuali, senza avere la minima intenzione di leggerli. Che molta gente comprasse i libri solo per questo, si sapeva o perlomeno si immaginava: ma fa impressione che più della metà di coloro che acquistano libri lo faccia senza pensare nemmeno per un momento di aprirli. Le ragioni citate a scapito della lettura variano: il 40 per cento dice di non riuscire a concentrarsi su libri particolarmente lunghi; il 48 per cento dice che, quando arriva a casa la sera dopo il lavoro, è troppo stanco per leggere un libro; il 46 per cento, per la stessa ragione, preferisce guardare la tivù; il 26 per cento dice che preferisce navigare su Internet o giocare alla Playstation. Meno del 25 per cento dei lettori abituali riesce a leggere continuativamente tutti i giorni.
Dal punto di vista di librai e forse anche di editori ed autori, tutto ciò non ha eccessivo valore: ‟L’importante”, dice un portavoce di Waterstone’s, la più grande catena di librerie del Regno Unito, ‟è che la gente, tanto per cominciare, compri libri”.
Del resto Daniel Pennac, nel suo Come un romanzo, esorta a non sentirsi in colpa a lasciare un libro a metà. Se poi viene usato come soprammobile, Joyce, Tolstoj e David Beckham non si offenderanno.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …