Gian Antonio Stella: Il “re del Portogallo” finisce in manette. Per truffa

28 Marzo 2007
‟Non sapete chi sono io!”, avrebbe detto. Ma sì che lo sapevano chi stavano ammanettando: ‟Sua Altezza il Re del Portogallo, Principe di Sassonia Coburgo Gotha, Duca di Braganza, Gran Maestro diarca degli Ordini di Nostra Signora della Concezione di villa Vicosa e delle Dame nubili di Santa Isabella”. O meglio Rosario Poidimani, un siculo-veneto che prima di essere arrestato per truffa aveva già avuto più guai giudiziari dei titoli nobiliari che si è auto appiccicato sul bavero. Vuoi diventare nobile? 5.000 euro. La domanda è: vuoi che non immaginassero niente tutti i vanitosissimi baccalà che bussavano alla sua porta? Quegli ‟industrialotti, commercialotti e professorotti”, per dirla con le parole di Bettino Craxi, che si mettevano in coda pronti a farsi infinocchiare pagando fior di quattrini pur di aggiungere al loro nome, sul biglietto da visita, uno straccio di titolo nobiliare, sia pure taroccato? Cinquemila euro, dice l' ordine di cattura firmato dal Gip di Busto Arsizio, Francesca Savignano, costava un ‟documento diplomatico”. Quasi duecentomila ‟il conseguimento di cariche consolari”. E il giro d' affari era tale che, secondo il magistrato, il Re Tarocco e i suoi 7 complici finiti in manette, avrebbero spazzolato almeno sette o ottocentomila euro. È una pestilenza, questa ossessione per i titoli onorifici, vecchia come il cucco. Basti ricordare il caso di Marziano Lavarello, un effeminato rappresentante della Squibb che nel 1958, in una chiesa romana di confessione metodista, riuscì a farsi posare sulla testa da parte di ‟Sua Beatitudine il Patriarca dell' Antica Chiesa Bizantina” (un pretino dall' aria inquietante) la corona di ‟Altezza Imperiale Marziano II, Basileus, Tredicesimo Apostolo”. Nonché ‟ducentesimonono Imperatore dei Romani”. Il tutto sotto l' ala protettiva dell' ‟imperatrice madre”, la ‟Basilissa Olga”. Che avrebbe poi assistito il figlio nella sistematica distribuzione di titoli nobiliari fasulli e perfino in una fantastica rivendicazione, spedita per raccomandata al tribunale dell' Aja, del Regno di Serbia. Finché non fu citato in tribunale da Totò che, nel ruolo di principe Antonio De Curtis, sosteneva di essere lui l' erede del trono di Giustiniano e dunque d' essere l' unico a poter ostentare il titolo di ‟Sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito della stirpe Costantiniana dei Focas Angelo Flavio ducas Comneno di Bisanzio, principe di Cilicia, di Macedonia, di Dardania, di Tessaglia...”. Debolezze umane... C' è gente che darebbe un polmone, per una manciata delle decine di onorificenze che grondano dal petto di Francesco Cossiga: Grand' Ufficiale dell' Ordine dell' Aquila Azteca, Grand' Ufficiale dell' Ordine ‟Orange Nassau”, Gran Cordone dell' Ordine di Leopoldo I, Collare dell' Ordine Libertador San Martin, Balì d' Onore e devozione del Sovrano Militare Ordine di Malta, Collare Mohammedi dell' Ordine della Sovranità, Collare do Cruzeiro do Sol, Ordine di Re Tomislav di Croazia, Collare dell' Indipendenza del Qatar... Per non dire dell' invidia che rode il fegato d' un sacco di aspiranti conti e marchesi davanti al caso del duca di Devonshire che di titoli ne ha circa seicento e a metterli tutti in fila vien fuori un papiro più lungo del Morgante del Pulci. Ed è lì, nel ventre molle di questa ossessione, che si infilò Rosario Poidimani, che prende il cognome dalla marionetta che nel teatro dei Pupi compariva ad annunciare lo spettacolo del giorno dopo. Siracusano, ragioniere, già titolare di scuole private venete e trentine e socio di maggioranza di un' azienda di componenti di armi, finì la prima volta sui giornali il giorno dell' arresto, nell' 84, con l' accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Imputato in una serie di precedenti penali per ‟truffe, assegni a vuoto, falso in cambiale, omessi contributi, false attestazioni sulla libertà personale”, tutti evaporati per successive amnistie, arrivò alla notorietà, però, la sera che si presentò alla trasmissione Linea rovente di Giuliano Ferrara, per raccontare la sua storia. Meglio: la sua versione della storia. Diceva di essere, in sostanza, ‟figlio adottivo” (in cambio d' un vitalizio di due milioni e mezzo al mese, di 300 milioni a rate, della disponibilità di un' auto di media cilindrata e dell' usufrutto di un appartamento a Vicenza) dell' anziana Donna Maria Pia di Sassonia Coburgo Gotha, duchessa di Braganza, sedicente figlia illegittima di Carlo I, penultimo Re del Portogallo e di una certa Amelia Laredo y Mursia e dunque erede, a parer suo, del trono soppresso. Erede, s' intende, con diritto a creare nuovi aristocratici: ‟Un panettiere vende pane, io posso vendere titoli”. Idea che, già prima dell' ultimo arresto, gli aveva creato delle grane. A partire da una querelle giudiziaria con la vecchia duchessa: ‟Non ha pagato le ultime rate. Contratto nullo”. Lui tirò diritto. Battagliando nei tribunali e tuonando, col plurale maiestatico: ‟Noi, Dom Rosario Poidimani, capo della Real Casa...”. Fino a infognarsi nell' ultima storiaccia. Che lo vede imputato, con sette collaboratori, anche per un buco di quasi un milione e mezzo di euro alla Banca Carige di Gallarate e tutta una serie di reati vari. Compresi quelli legati al ritrovamento di 712 ‟passaporti” e 601 ‟carte d' identità diplomatiche”, scrive il magistrato, ‟emessi dalla sedicente Casa Reale del Portogallo”. E accompagnati da ‟timbri a secco, carte intestate, targhe e palette segnaletiche del tipo in uso alle forze di polizia” con lo stemma della sua Real Casa. Tutta roba buona, giura. Macché: lo Stato italiano, crudele, li considera falsi. Ma il dettaglio più divertente deve ancora venire. Ed è il volume che raccoglie tutti gli interventi di un solenne convegno internazionale tenuto ad Agrigento: ‟La Corte dei Conti nei paesi del Mediterraneo”. Un libro che, prima dei testi dei massimi giudici contabili, da Salvatore Buscema a Vincenzo Apicella fino al presidente Francesco Staderini, ha una presentazione firmata da lui: ‟Sua Altezza Reale Dom Rosario Poidimani di Sassonia Coburgo e Braganza”. Nonché, scriveva nella nota a piè di pagina, presidente dell' ‟Institut International pour les Relations Diplomatiques”. Che non figura neppure su Internet ma suona tanto fine. Che festa, la sera della presentazione! ‟Sua Maestà” regalò un Cavalierato, una Gran Croce o un Collare ‟real portoghese” a tutti, avvocati e assessori regionali, sindaci e magistrati. Allora del tutto ignari che il nostro, considerandosi sostanzialmente un monarca in esilio, ha sempre cercato di non pagare manco le tasse. E peccato che non ne sapesse niente Daniele Silvestri. Al suo tormentone poteva aggiungere una strofa: ‟La paranza è una danza / che si balla alla Real Casa di Braganza...”.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …