Michele Serra: Donne, la gaffe di Amato sui "siculo-pachistani"

12 Luglio 2007
Come nelle vecchie barzellette (‟ci sono un tedesco, un inglese, un francese e un italiano…”), anche nel costume politico si sta diffondendo il pessimo vizio di ragionare per etnie, o meglio per bozzetti etnico-nazionali. È un segno, non positivo, di contaminazione "dal basso" di pensieri e parole che dovrebbero volare alto.
Ciò che Gino Bramieri (re dei barzellettieri) poteva magistralmente dire sotto i riflettori e tra le paillettes, diventa imbarazzante e grossolano se pronunciato in un convegno o in Parlamento.
Spiace, dunque, che al ministro Giuliano Amato, che parlava in veste e in sede ufficiale, sia sfuggita di bocca una di quelle battute (‟picchiare le donne è un’abitudine siculo-pachistana”) che siamo rassegnati a udire nei paraggi di Borghezio e di Bossi, laddove la caricatura razziale è la regola. Spiace soprattutto perché, per come funziona il rapporto perverso tra politica e media, ora quella infelice battuta farà ombra a un discorso che era invece importante e utile: Amato intendeva smascherare le equivoche sembianze "religiose" che vengono attribuite a usanze atroci che sono, invece, squisitamente umane. E non provengono da alcun Verbo, semmai dalle viscere arcaiche di molte culture, non solo "pachistane" e non solo "sicule".
Proprio perché la materia è rovente, e proprio perché esiste una vulgata popolare che tende a scaricare sulle spalle "degli altri" (altri popoli, altre religioni) la colpa della violenza e il male dell’arretratezza, sarebbe fondamentale evitare in toto le semplificazioni razziali e nazionali. L’idea che il corpo femminile sia proprietà del maschio (il patriarca, il marito, i fratelli, il capotribù o il capofamiglia) è in piena attività a moltissime latitudini e longitudini: così tante che diventa molto difficile limitare a poche aree reiette la violenza sulle donne.
Quello che Amato voleva dire e ha detto – al netto della sua battuta siculo-pachistana – aiuta per esempio a non dimenticare da quali spelonche etiche, e da quali chiusure mentali, se ne è appena uscita buona parte del Primo Mondo. Non la Sicilia, ma l’Italia intera, comprese vaste zone del Nord, fino a una generazione fa (pochi secondi fa, in termini storici) conosceva e praticava i matrimoni combinati, laddove la conservazione della Roba prevaleva largamente su quell’invenzione moderna che è l’amore liberamente praticato. Erano gli anni Sessanta quando la "sicula" Franca Viola rifiutò le "nozze riparatrici" con il suo rapitore (spesso eufemismo di stupratore), sfidando l’opinione pubblica di mezzo Paese, riempiendo i telegiornali nazionali di un dibattito niente affatto scontato, da una parte l’autodeterminazione delle donne, dall’altro le leggi "d’onore", il predominio maschile, i tabù di paese, e neanche mezza gerarchia (men che meno ecclesiastica) che fosse decisamente impegnata a ribaltare il tavolo (marcio) del familismo patriarcale. Era l’Italia senza il divorzio, con gli adulteri (Fausto Coppi) additati a vista dalla stampa popolare, Mina circonfusa di scandalo per avere avuto un figlio fuori dal matrimonio (e quella gran donna, per fortuna, se ne fregava), era l’Italia delle mammane che sventravano le ragazze incinte terrorizzate dalla vergogna e spesso schifate dai genitori.
E quanto all’Italia di oggi (all’Occidente di oggi…), in quanti delitti familiari pesa ancora l’idea che moglie e figli debbano soccombere insieme al Maschio Alfa, il cui cedimento strutturale porta nella tomba anche quell’umanità accessoria che sono i membri della sua famiglia?
Che peccato che tutto questo enorme sommerso, questa memoria dimenticata, questa coscienza di quanta illiberalità ci sia stata (e in parte sussista) anche nelle società di cultura cattolica, non siano diventati coscienza utile a farci capire quanto siano a noi familiari lo strazio e la soggezione di tante donne (e uomini) di altri paesi, che si dibattono sotto il giogo tribale o patriarcale, maledette da un clero che ammanta di "leggi di Dio" il terrore maschile delle donne, dell’eros, della libertà personale che fa traballare le fondamenta feroci di tutti i codici arcaici. Che peccato che Amato, dimenticando quanto siano prensili le orecchie dei media quando c’è da montare un bel titolo polemico, si sia immolato a una sua sola frase: attirandosi il comprensibile risentimento delle modernissime sicule Finocchiaro e Prestigiacomo. Avere ragione rischiando il torto è uno dei pericoli della dialettica politica.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …

La cattura

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di Salvo Palazzolo, Maurizio de Lucia