Marco D'Eramo: Pensioni. Impatto tra generazioni

19 Luglio 2007
Nulla fa imbestialire di più che essere presi per i fondelli senza ritegno. E tra queste beffe, la più spudorata è quella che tira fuori il ‟patto tra generazioni” come ragione per innalzare l'età pensionabile. Di motivi per discutere di pensioni ce ne sarebbero tanti, e seri, ma l'argomento dell'investimento per i giovani è un rospo troppo grosso e sfacciato da mandare giù, anche per la sua vena ricattatoria: se vi opponete, è perché siete (o sarete) vecchiacci egoisti e ve ne fregate dell'interesse comune.
Da questo ostentato altruismo generazionale trapela un irridente disprezzo per la nostra intelligenza. O allora, se così non è, cari preclari economisti e prestigiosi governatori che pontificate sul fatidico ‟patto generazionale”, sottoponetevi per favore a un esame di aritmetica elementare. Ci dite che se non si innalza l'età pensionabile subito, gli italiani che ora sono giovani non otterranno mai la pensione, perché il sistema previdenziale sarà in bancarotta, a causa della denatalità che accresce la percentuale di anziani nella popolazione. Questo sarebbe vero se, mentre i pensionandi lavorano qualche anno di più, nel frattempo i giovani avessero posti di lavoro ‟buoni”, con contributi pensionistici. Ma così non è: la stragrande maggioranza dei nuovi lavori è precaria e senza copertura pensionistica. Nei fatti, più a lungo un ‟anziano” lavora, e più a lungo occupa un ‟posto buono” che rende così indisponibile per i nuovi venuti. Così a ogni anno di pensione risparmiata sugli anziani corrisponderà un anno in meno di contributi degli esordienti.
Spiegateci allora in che cosa consiste l'investimento per i giovani di una riforma che ritarda sempre più l'inizio dell'età contributiva e quindi allontana sempre più - per questi stessi giovani - il conseguimento della pensione. Più a lungo lavorano oggi gli anziani, meno pensioni avranno domani i giovani attuali.
Per di più, ogni discorso sul ‟collasso della previdenza” è viziato a monte, perché sottintende che sono i lavoratori attuali a pagare ora le pensioni di chi oggi si ritira: ma in realtà chi oggi va in pensione gode del frutto maturato prima dai suoi 20, 30, 40 anni di contributi. Non c'è nessuno che sta pagando per lui; lui si è già pagato da sé in anticipo, settimana dopo settimana, mese dopo mese, busta paga dopo busta paga.
E non è finita: un cinquantenne che cerchi un nuovo posto, già oggi non lo trova. Se non è già sotto contratto, un lavoratore (e tanto più una lavoratrice) a 50 anni è fuori dal mercato del lavoro e mai potrà farsi assumere. Altro che innalzare l'età pensionabile! Ma proprio questo ultimo elemento getta una luce più chiara, anche se più cruda, sul vostro nobile ‟patto generazionale”. Se i giovani sono destinati a entrare sempre più tardi nel mercato del lavoro e a uscirne sempre più presto, e se il periodo contributivo per ottenere la pensione deve dilatarsi, allora la regola per cui 3 - 3 = 0 (qui intervengono le vostre competenze aritmetiche) ci dice che l'esito a lungo termine del patto generazionale è uno solo: abolire le pensioni, magari lasciando - per residua decenza - quelle di anzianità, altrimenti dette ‟di povertà”.
Ma allora ditecelo senza pestare l'acqua nel mortaio: firmiamo un nuovo, bellissimo contratto sociale: niente pensioni. E smettetela di manipolarci il fondoschiena.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …