Gian Antonio Stella: Cos’è la malagiustizia? Una spalmata di Nutella che arriva in Cassazione

08 Ottobre 2007
Tema: può sopravvivere un paese in cui la Corte di Cassazione a sezioni riunite, con quasi nove milioni di processi pendenti e cause che durano decenni, è costretta a perdere tempo per decidere se è ammissibile o no il ricorso di un magistrato punito per avere imbrattato i bagni del tribunale con la Nutella? Eppure è successo. Non si sa come si chiami il magistrato, perché ovviamente il suo nome (conosciamo solo le iniziali: dr. C.G.A.) è stato coperto da una premurosa coltre di silenzio. Non si sa quale sia il Palazzo di Giustizia e neppure quando sia successo. Ma la storia, rivelata dalla sentenza da poco depositata, è straordinaria. E la dice lunga sulla situazione in cui si è via via cacciata nei decenni la nostra giustizia. Accusato di avere ‟cosparso gli elementi del bagno (dell’ufficio) con abbondanti strisciate di Nutella”, il nostro se l’era cavata, davanti alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con una bonaria ‟sanzione d’ammonimento”. Una tiratina di orecchie. Sua eccellenza il signor giudice C.G.A., però, aveva vissuto la ramanzina come una profonda offesa al suo onore. E aveva fatto ricorso contro il Csm infilando anche la sua pratica tra i 35 mila fascicoli che, stando a Clemente Mastella, pendono in Cassazione. Ultimo approdo di una marea che vede ancora inevase oltre cinque milioni di cause civili e tre milioni di cause penali. Un panorama tale da venire definito ‟drammatico” dallo stesso guardasigilli, secondo il quale ‟il cittadino ha una giusta collera verso il sistema giustizia”. Bene. Ricevuto il ricorso del ‟Dr. C.G.A.”, i supremi giudici lo hanno respinto sostenendo che ‟nel caso di specie, la sentenza impugnata” era ‟stata depositata il 23/11/2006, quando già vigeva il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32 bis, che, come si è visto, ha ripristinato il previgente sistema d’impugnazione per tutti i provvedimenti pronunciati nei processi iniziati prima del 19/6/2006”. Di conseguenza il ‟Dr. C.G.A.” avrebbe dovuto ‟presentare il ricorso nei termini e con le forme previste dal codice di procedura civile, ovverosia facendolo dapprima notificare ai controinteressati dall’ufficiale giudiziario e poi depositandolo, a pena d’inammissibilità, nella cancelleria della Corte di Cassazione non oltre il ventesimo giorno da quello dell’ultima notificazione”. Di più: ‟Aggiungasi che in base al principio di autosufficienza del ricorso e per effetto della introduzione dell’art. 366 bis c.p.c. da parte del D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabile alle impugnazioni dei provvedimenti depositati, come nella specie, dopo il 2/3/2006, il dr. C. avrebbe dovuto, sempre a pena d’inammissibilità, corredare il motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5 della riproduzione delle testimonianze asseritamente trascurate e quelli ex art. 360 c.p.c., n.3 di uno specifico quesito che, come chiarito da C. Cass. SU 2007/7258, non può essere desunto implicitamente dal contenuto del motivo, ma deve essere esplicitamente formulato a conclusione del medesimo al fine di contenere la pronuncia della Corte nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito stesso”. Direte: che razza di roba è? Che lingua è? Che futuro ha un paese in cui, per decidere su una spalmata di Nutella, i giudici supremi usano nella sola parte essenziale 1.135 parole e cioè poco meno di quelle usate per la dichiarazione d’Indipendenza americana, oltre un terzo di quelle servite a Giovanni XXIII per aprire il Concilio Ecumenico Vaticano II, nove volte più di quelle necessarie a Gesù per una parabola straordinaria quale quella del buon samaritano? Lo diceva già Ludovico Antonio Muratori: ‟Quante più parole si adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può diventare”. Da allora sono passati due secoli e mezzo. Invano.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …