Enrico Franceschini: Modbury. Il paese liberato dalla plastica

22 Ottobre 2007
C’è chi offre sportine di cartone riciclato, chi di cotone e chi distribuisce borse, da collezionisti, con sopra scritto "non sono di plastica". Un logo che è diventato quasi una missione: mettere al bando le sporte di plastica. L’idea - messa in pratica da sessanta città del Regno Unito e prossimamente ai voti dalla municipalità di Londra -è nata proprio qui, in una cittadina fra le colline del Devon, a pochi chilometri dalla Manica. Se compri le olive nella salumeria di Adam, una bistecca da Simon il macellaio o un riso fritto da portare via nel ristorantino cinese di Phil, il sacchetto è di cartone riciclato. Se vai a ritirare i vestiti nella lavanderia di Helen, acquisti un poster nella galleria di Sue o una maglietta nel negozio di souvenir di Sarah, il sacchetto è di cotone. Se poi sei particolarmente fortunato, in uno qualsiasi dei 43 esercizi pubblici di Modbury, magari ti consegneranno la merce dentro una borsa con stampato sopra "non sono una borsa di plastica" - materiale da collezionisti, oramai, che può essere rivenduto all’asta su eBay a centinaia di volte il suo valore originale (3,95 sterline, un po’meno di 6 euro). Perché l’idea di mettere al bando le buste di plastica, ora adottatata da 60 città del Regno Unito, prossimamente messa ai voti dalla municipalità di Londra, diffusasi come il fuoco nella prateria in mezza Europa, traboccata in opposte direzioni fin negli Stati Uniti e in Cina, è nata proprio qui, in questa graziosa cittadina fra le colline del Devon, a pochi chilometri dalla Manica: 1500 abitanti, 760 case, tre chiese, una scuola, un supermercato, mezza dozzina di pub, due ristoranti, un ambulatorio. ‟Non torneremo più indietro”, dice spavalda Rebecca Hoskins, colei da cui è partito tutto. ‟Abbiamo dimostrato che la gente, se spieghi bene un problema, è disposta ad agire per risolverlo, impegnandosi di persona, anche con iniziative radicali. Di questo passo crediamo che sia davvero possibile sconfiggere la plastica”. E forse, chissà, anche l’apatia. La storia della rivolta di Modbury, in effetti, dimostra due cose: che l’ambientalismo è la passione sopravissuta al collasso di tutte le ideologie e che il vento dell’antipolitica non ha spazzato via tutto. La crisi dei partiti e la sfiducia nei leader non impediscono all’opinione pubblica di gettarsi con entusiasmo in una battaglia politica, se ne vale la pena. La rivoluzione, diciamo una piccola rivoluzione, può scoppiare perfino in un luogo come questo. Modbury, poco più che un villaggio, non è un rifugio di ex-hippye dalla coscienza delicata. Non ha nemmeno tradizioni progressiste: fra i suoi residenti, probabilmente, ci sono oggi più conservatori che laburisti. E’un posto normale, moderatamente benestante, solitamente tranquillo. L’ultima volta che da queste parti è successo qualcosa, scherzano ma non del tutto i suoi abitanti, fu nel 1643, quando clan rivali di cavalieri medievali duellarono nei vicoli del paese. Poi, un giorno della scorsa primavera, è entrata in azione una duellante di nome Rebecca Hoskins e niente è stato più come prima. Nata a Modbury 33 anni fa, di professione documentarista, Rebecca era appena tornata da un viaggio nel Pacifico per filmare la vita marina per la Bbc. Era rimasta sconvolta da ciò che aveva visto. ‟Delfini, foche, albatros, imprigionati in detriti di plastica”, racconta. ‟Il massimo fu una tartaruga che aveva mangiato un sacchetto di plastica, scambiandolo per una medusa, e stava lentamente soffocando. Non sono una che si commuove facilmente. Non avevo mai pianto dietro la macchina da presa. Ma quelle scene mi spezzarono il cuore, non riuscii a trattenere le lacrime. Mi resi conto che il mare era diventato una pattumiera e che la plastica avrebbe impiegato centinaia di anni a dissolversi. E mi faceva ancora più rabbia pensare che quella tragedia non era necessaria. Sarebbe bastato così poco per scongiurarla”. Esperta sommozzatrice, tornata a casa Rebecca andò a fare il bagno nelle acque della Manica e scoprì che anche quelle erano invase dalla plastica. Cominciò a parlare al pub di ciò che aveva visto, poi affittò la galleria d’arte locale, invitò tutti gli esercenti del paese e mostrò loro il suo film sul Pacifico. ‟Alla fine avevano le lacrime agli occhi anche loro. Dissero che non avrebbero più impacchettato la merce in sacchetti di plastica e che dovevamo organizzarci. Il giorno dopo abbiamo cominciato”. Così il 28 aprile Modbury è diventata la prima "plastic-bag free town" d’Europa, la prima città europea "libera dai sacchetti di plastica". I negozianti hanno consegnato a un deposito tutte le sportine che avevano, perché venissero riciclate. Cassonetti denominati "amnistia plastica" sono stati posizionati qui e là per il paese, in modo che anche gli altri abitanti potessero liberarsi delle centinaia di sportine di plastica che tenevano sotto il lavabo della cucina. Sacchetti di carta, cartone, cotone, tessuti vari, sono stati ordinati, confezionati, distribuiti. I residenti si sono adattati con entusiasmo: al punto, confessa Sue Sturton, la gallerista locale, che quando vanno in un’altra città portano sempre con sé una borsina di tessuto per non essere costretti a usarne di plastica. Quanto agli incauti forestieri che entrano a Modbury con una sporta di plastica in mano, vengono fermati dai passanti e ammoniti che qui non sta bene: girare con una borsa di plastica è considerato un ‟comportamento antisociale”. Adam, il proprietario del delicatessen, calcola che soltanto il suo emporio di alimentari distribuiva ai clienti 30 mila sporte di plastica all’anno. Tim, gestore del supermercato, afferma che il suo ne distribuiva 300 mila all’anno. ‟Siamo felici di avere partecipato a questa campagna”, dice. ‟Speriamo che serva di esempio”. E come se è servito. Poco per volta, la rivolta contro i sacchetti di plastica ha contagiato il resto della Gran Bretagna. Dopo Modbury ha aderito Hebden Bridge, nello West Yorkshire, poi North Berwick, in Scozia. Nel giro di cinque mesi, 70 città del Regno Unito hanno aderito al bando. La settimana scorsa anche i 33 distretti municipali di Londra hanno lanciato una consultazione per imporre nella capitale un bando o una tassa sulle borse di plastica, come è stato fatto in Irlanda, dove la tassa è bastata a farle diminuire del 75 per cento. C’è ancora molto da fare, naturalmente, se si pensa che 13 miliardi di sporte di plastica vengono distribuite annualmente in Gran Bretagna; e che il numero totale delle borse di plastica distribuite nel mondo è stimato in un trillione all’anno, un milione di miliardi. Ma la campagna contro i sacchetti che inquinano l’ambiente è ormai globale: con attivisti che vanno dalla Cina a San Francisco. ‟E’molto difficile trovare qualcuno che alzi le spalle e dica me ne frego”, commenta Robin McEwen, un membro del parlamento scozzese che si batte per fare approvare il divieto a Edimburgo. ‟I politici sono stati finora lenti a riconoscere il fenomeno, ma la gente non attende altro che seguire qualcuno che insegni loro come fare”. A insegnarglielo, se non ci pensa il politico locale, provvede Rebecca Hosking, la documentarista di Modbury, colei che ha acceso per prima il fuoco della rivolta. ‟Ci sono sei semplici passi da compiere”, comincia. ‟Uno: non aspettate che si muova il sindaco o il supermarket, organizzatevi da soli o con gli amici. Due: ottenete la fiducia dei negozianti, spiegate bene loro i termini della questione. Tre: raccogliete pubblico sostegno per premere sulle grandi catene di negozi affinchè aderiscano alla campagna. Quattro: imparate tutto quello che potete sui danni causati dalla plastica all’ambiente. Cinque: fate ricerche su ogni tipo di sportine di materiali alternativi. Sei: stabilite una data per la messa al bando e via”. A Maui, nelle Hawaii, dove in primavera Rebecca ha filmato alcune scene di animali marini imbrigliati nella plastica, la data l’hanno appena stabilita: entro tre anni entrerà in vigore un divieto assoluto dell’uso delle sportine di plastica. Ogni giorno, una città o una cittadina da qualche parte nel mondo si accoda alla rivolta. Morale: consumatori di tutto il mondo, unitevi. Potete fare la rivoluzione anche mentre fate allo shopping.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …