Giorgio Bocca: La politica che vive di paure

13 Novembre 2007
Agli italiani piace avere paura, la paura ha sostituito le ideologie e le utopie, aver paura di qualcosa, reale o meno, è come una conferma esistenziale: qualcuno sa che ci siamo, qualcuno ci vuol male.
Ci sono stati periodi in cui alcune paure erano dominanti, la paura della guerra, per esempio, la terribile guerra antica delle baionette e dei feriti abbandonati sui campi di battaglia. La paura delle guerre di religione e delle persecuzioni razziali.
Ora invece, a parte la paura della morte, non ci sono più grandi paure, ma una insalata di varie paure che spaziano dal geologico al meteorologico, dall'ecologico all'alimentare. È come se stessimo dissotterrando tutte le paure ipotetiche e discutibili del nostro passato o trasformando in paura anche ciò che ci lasciava del tutto tranquilli.
L'amianto, per esempio. Nel regime fascista l'amianto era considerato come il più sicuro e duttile degli isolanti, lo usavamo sui treni, negli uffici, dovunque. Nella mia città per una visita del Duce servì per erigere finte facciate di palazzi inesistenti sul percorso che avrebbe seguito e anche finti tripodi. Ora la paura dell'amianto cancerogeno dilaga, interi treni avvelenati dall'amianto sono stati parcheggiati su binari morti.
Non molti anni fa le condotte elettriche erano qualcosa di rassicurante: tracciavano nelle campagne, nelle montagne, la rete dell'energia, ci piaceva che sopra le nostre teste passasse quella forza amica. Adesso quartieri e villaggi formano comitati in lotta contro la paura dei campi magnetici che provocano le peggiori malattie: cancri, leucemie e simili anche se non se ne ha la prova certa.
Ma la paura non ha bisogno di prove, si nutre di se stessa, inventa pregiudizi e superstizioni, si esalta della sua demenza. Prendiamo la paura del comunismo che non c'è più, che è retrospettiva e attuale. La paura retrospettiva è quella fornita dal revisionismo storico di un comunismo sempre sul punto di scatenare la sovversione. Non importa che l'Italia dopo la Seconda guerra mondiale fosse una provincia dell'impero americano, presidiata da basi militari americane, riconosciuta dall'Urss come parte integrante dell'impero occidentale. Non passa giorno senza che la stampa moderata non ricordi con brividi di paura la quinta colonna comunista. Morto un Edgardo Sogno viene alla ribalta un prete genovese, don Gianni Baget Bozzo, che sta resuscitando un comunismo genetico, patologico da semel abbas semper abbas, fatto di geni autoritari, violenti, che si trasmettono di generazione in generazione, un comunismo lombrosiano riconoscibile dagli zigomi e dalle labbra, un comunismo dell'anima che non si accontenta di combattere i suoi avversari di classe, ma li odia, li vorrebbe distruggere.
La politica vive di paure: la destra della sempiterna paura del comunismo, la sinistra della incombente paura berlusconiana. Paure che si sarebbero accentuate proprio perché per la prima volta c'è stata un'alternativa di governo, per la prima volta c'è uno scontro aperto e sincero fra sinistra e destra.
Difficile dire se sia più numeroso in Italia il popolo della paura o quello del coraggio. Anche perché tra l'uno e l'altro c'è trasfusione continua di coraggiosi che diventano paurosi e viceversa. Certo il popolo della paura non ha mai avuto simpatia per quello del coraggio, ha sempre preferito la pace dei vescovi.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …