Gabriele Romagnoli: Quando le zitelle erano discriminate

18 Dicembre 2007
‟Perché dovrei mettermi in casa un estraneo?”. Così Alberto Sordi rivendicava il suo diritto a un’esistenza non condivisa quando ancora la parola "single" non aveva equiparato "scapolo" e "zitella", impoverendo il linguaggio, ma annullando una discriminazione, il signor Rana non aveva mandato nei supermercati la confezione "da uno" dei suoi variegati tortellini e non c’era bisogno di family day per proclamare la solidarietà con un’istituzione imperante e aggressiva, ripetendo il bizzarro spettacolo della manifestazione di sostegno agli Stati Uniti. Altra epoca, nei quali la fierezza di Sordi era un privilegio che poteva concedersi l’uomo, purché ricco e famoso. I tempi hanno diffuso quella possibilità come un sintomo di progresso. E in realtà è anche così: più la società è avanzata e più cresce la disposizione a restare single e la normalizzazione della condizione.
In Egitto, dove le donne si sposano quasi sempre prima della maggiore età, con medie che scendono verso l’infanzia allontanandosi dalle città, e neppure agli uomini è concessa la solitudine senza la compagnia del sospetto (lì ancora infamante) di avere altre predisposizioni, la parola single non è ancora arrivata e non per antiamericanismo. Le zitelle sono state costrette a ricamare l’idea di un partito, regolarmente registrato, per combattere non solo il discredito ma la discriminazione sociale e gli scapoli a vivere la riprovazione di genitori, amici e colleghi, non compensata dall’opportunità di divertirsi sulla giostra degli incontri, giacché arretratezza significa anche limitazione della sessualità nei confini della coppia ufficiale, con tanto di controllo sociale e sanzione per le trasgressioni. All’opposto gli Stati Uniti, sull’onda della liberazione sessuale, hanno proposto un’immagine felice e vincente del single, ne hanno fatto un’icona pubblicitaria, un target commerciale, l’hanno sdoganato prima nel linguaggio, poi nella società, rendendo confortevole non solo presentarsi come single, ma anche in quella condizione cenare, andare al cinema, viaggiare. Il lato positivo è stato l’arretramento di quel pregiudizio per cui solo significa anomalo e, in extremis, alla cattura del serial killer i vicini commentano: ‟Era molto gentile, ma non l’abbiamo mai visto con qualcuno...”. Il contrappasso è la schizofrenia di una "cultura" che da un lato promuove la condizione di single ammiccando alle infinite possibilità che offre e dall’altra mette in piedi, diffonde e quasi obbliga a sperimentare ogni sorta di espediente per uscirne. Gli annunci personali, le "crociere dei single" e il terrificante "speed dating" (donna seduta al tavolo e commensale maschile che cambia ogni cinque minuti cercando di lasciare un’impressione e un numero di telefono) sono opportunità di divertimento o imbuti di possibilità? Non simboleggiano la fine del '68, del libero amore, della favola "ci sarà una volta" che in tanti si sono raccontati? ‟Volevo tutto e subito, ho avuto un broker”.
Perché mettersi in casa un estraneo? Perché così vanno le cose, più o meno dall’inizio del mondo. Abbiamo trascorso millenni a correggere la natura, forzato le esistenze in una coniugazione duale ostica alla loro conduzione più ancor che alla grammatica. Ci siamo raccontati la panzana della coppia che dura una vita, smentita in un clamoroso silenzio qualche anno fa a Parigi da una mostra che spiegava come i rapporti duraturi siano un’anomalia della modernità, giacché in passato malattie non debellate e guerre giustiziavano i rapporti tanto e quanto ora ci tocca fare con il divorzio, ma senza la conseguenza degli alimenti e di bamboccioni che anni dopo spiegano all’analista di aver fallito perché mamma e papà non andavano più d’accordo. La stessa pervicacia che promuove il valore della coppia e della famiglia viene ora impiegata sull’altra sponda. Come in ogni bipolarismo imperfetto (e ogni bipolarismo è imperfetto) il confronto si radicalizza e si perde il senso della misura. Quando è colma, arriva lo slogan "single è bello". Tutte le affermazioni che terminano con "è bello" vanno tradotte come: "In realtà non è che in questa situazione me la passi un granché, ma mi debbo fare forza, convincermi, che poi magari, con l’autosuggestione, tutto migliora e lo trovo bello per davvero". Se single fosse davvero così bello non si organizzerebbero feste per single dove sotto il festone con quella scritta circolano dozzine di persone con un’idea fissa: accoppiarsi. E la maggioranza, sotto le spoglie del cinismo, non è alla prossima notte che sta pensando, ma a quelle da qui, santo cielo, all’eternità. A mettersi in casa un estraneo, comprimere i cappotti in una sola anta dell’armadio, stracciare quella memorabile pagina del quotidiano inglese ‟Guardian ‟con l’immagine di un bicchiere contenente un solo spazzolino da denti. Single è, comunque, una condizione di passaggio (più o meno duratura). C’è il single di andata, quello che continua a viaggiare perché non trova la stazione a cui fermarsi (nella sua versione, è la stazione a non trovarlo) e prosegue, scartando, svalutando, finché cala la notte e le stazioni diventano tutte uguali, i difetti nascosti nell’oscurità, e la migliore resta sepolta nel retrovisore. C’è il single di ritorno, che esce dalla gabbia della coppia con sincera esultanza e proclama: "Adesso mi godo la vita", salvo scoprire che la vita non è, per definizione, un’esperienza godereccia: implica pomeriggi al pronto soccorso, licenziamenti senza giusta causa e viaggi a Caracas, tutte esperienze che diviso due sono già poco sopportabili, ma nella loro interezza schiacciano.
Non è un motivo sufficiente per mettersi in casa un estraneo, ma va detto che nella scelta opposta c’è molto del carattere che fu, appunto, di Alberto Sordi: egoismo, avarizia, scarsa disponibilità verso il prossimo. Ho conosciuto soltanto un "single perfetto". Era un uomo moderatamente famoso, aveva fatto un lavoro che gli aveva reso molto, giacché era stato un pioniere del suo settore e aveva potuto ritirarsi molto giovane. Con i tanti soldi guadagnati aveva calcolato di poter vivere di rendita. Possedeva due case e aveva deciso di non comprarne altre. Escludeva di avere figli e/o sposarsi. Non intendeva pertanto lasciare un euro di eredità a nessuno. Per consumare la sua fortuna doveva spendere un piccolo patrimonio ogni giorno (mi disse la cifra e superava lo stipendio mensile di un insegnante). A volte, sosteneva, la cosa gli riusciva faticosa. Certi giorni non ce la faceva. Il giorno seguente, per recuperare, volava a Barcellona, scendeva nel miglior hotel, si faceva accompagnare a cena da una escort e ordinava aragosta. Le sue avventure hanno riempito il mio taccuino mentale di commerciabili aneddoti per anni. L’ho rivisto pochi giorni fa sulle pagine di una rivista. Accanto alla donna con cui si è fidanzato.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …