Marco D'Eramo: Primarie 2008. Il rilancio di Barack Obama

11 Gennaio 2008
Nel freddo polare dello Iowa ha prevalso il desiderio di novità. Hanno vinto volti nuovi, se non idee nuove. Soprattutto, ha vinto la partecipazione: si sono espressi più di 239.000 democratici e 108.000 repubblicani: nel 2000 si erano mossi solo 84.000 democratici e poco più di 50.000 repubblicani; E quattro anni fa, quando in Iowa si tennero solo le primarie democratiche, votarono 124.000 cittadini. Dunque una partecipazione quasi raddoppiata quest'anno A mobilitare la nuova, massiccia affluenza vista in Iowa sono stati i volti nuovi: tra i democratici il giovane senatore afro-americano dell'Illinois, il 46-enne Barak Obama; tra i repubblicani l'ex governatore dell'Arkansas, pastore battista, rockettaro e fan di Chuk Norris, il 52-enne Mike Huckabee.
L'importanza dei risultati in questo piccolo staterello del Mid West non va mai sopravvalutata: nel 1980 qui George Bush batté Ronald Reagan che però poi vinse nomination e presidenza. Nel 1988, al contrario, George Bush giunse qui terzo, distanziato da Bob Dole e da Pat Robertson, ma poi vinse nomination ed elezioni. Lo stesso capitò nel 1992 a Bill Clinton, terzo in Iowa e poi eletto presidente.
Però i numeri di giovedì notte hanno capovolto la dinamica della competizione, per lo meno fino al 5 febbraio, il «super-martedì» in cui si terranno le primarie di 22 stati, tra cui i più importanti e popolosi (California, New York, Illinois). Tra i democratici, fino a tre giorni fa Obama inseguiva affannato Hillary Clinton. Ora ha ripreso fiato e lei se lo sente sul collo. Con il 37,6% delle preferenze, il senatore del vicino Illinois ha infatti ottenuto uno storico successo personale, surclassando John Edwards (29,8%) e soprattutto Hillary (29,5%). Lo ha ottenuto grazie ai giovani affluiti massicciamente nei caucus, ma grazie anche ai molti «indipendenti» che sono andati a votare per lui, e persino grazie a un manipolo di repubblicani.
Il più grande successo di Obama è stato però l'essersi presentato come «l'uomo del cambiamento», anche se nulla di quel che finora ha detto o ha scritto fornisce la benché minima indicazione di cosa voglia cambiare e soprattutto in che modo e in quale direzione. Ora Obama può guardare con minore ansia le primarie del New Hampshire (8 gennaio), mentre ha davanti a sé ancora grossi problemi in Michigan (15 gennaio) dove nel 1988 trionfò il reverendo Jesse Jackson (col 55% dei voti), in Nevada (19 gennaio), ma soprattutto in South Carolina (29 gennaio), dove sarà sottoposto al test cruciale della sua popolarità tra i neri, che finora nei sondaggi gli hanno sempre preferito Hillary Clinton. Per Obama il problema è andare oltre il fascino della sua eleganza, del suo essere carino, «l'unico nero che non mi faccia sentire in colpa», come dicono i bianchi di qui. Per avere una qualche speranza reale, deve uscire dalle fumosità e dirci in concreto cosa pensa di fare per l'economia, come realmente uscire dall'Iraq, che fare con l'inquinamento... Deve superare la metafisica del «cambiamento in-sé-e-per-sé», per calarsi nella rischiosa prosaicità delle riforme.
Alla ex first lady invece, per lo meno per questo mese di gennaio, tocca l'onere della rincorsa. Deve assolutamente inventarsi qualcosa: perché l'appoggio di suo marito, il sostegno di tutto l'apparato, gli inesauribili mezzi finanziari sembrano non bastare. Finora le è mancato il «fattore seduzione» che Bill Clinton invece profondeva a palate. Le è mancata un'idea forte, perfino uno slogan trainante.
Infine John Edwards ha ricevuto una boccata d'ossigeno dall'aver sopravanzato Hillary, ma per lui la corsa diventa davvero difficile. E come sempre avviene, le primarie precoci servono solo a scremare il campo dei contendenti: si sono già ritirati Joe Biden e Christopher Dodd, mentre Bill Richardson è in procinto di gettare la spugna.
Per i repubblicani invece l'Iowa non ha fatto che complicare le cose, mischiare ancora di più le carte. Certo, ha vinto un volto nuovo come Mike Huckabee, un mese fa quasi sconosciuto. Col 34,3% ha distanziato il mormone Mitt Romney (24,3%), l'attore di Law and Order ed ex senatore Fred Thompson (13,4%), il senatore della California John McCain (13,1%) e l'outsider libertario Ron Paul che ha ricevuto un sorprendente 10%. Hanno giovato molto al chitarrista-governatore la sua comunicativa e anche la critica all'establishment repubblicano e a Bush, oltre naturalmente la religiosità dei devoti iowani. E Huckabee ha ancora molte cartucce da sparare: in South Carolina era dato per vincente già prima del successo in Iowa. Ma difficilmente potrà ottenere la nomination repubblicana. Disporrà solo di più truppe per condizionare la piattaforma del Gop, più delegati da mettere in vendita al migliore offerente. Da questo punto di vista, più che la vittoria di Huckabee in uno stato denso di conservatori cristiani, è significativa la sconfitta di Romney che qui aveva speso milioni di dollari e mesi e mesi d'ininterrotta campagna. Adesso per lui il New Hampshire diventa l'ultima spiaggia: se anche lì il risultato sarà deludente, dovrà pensare al ritiro. Riprende invece fiato John McCain, che nel 2000 aveva vinto le primarie del New Hampshire e ora spera di ripetere il risultato. L'ironia del destino è che gli «indipendenti» che allora fecero la sua fortuna nel New England, sono gli stessi che in Iowa hanno favorito il trionfo di Obama; quindi in New Hampshire ogni voto indipendente preso da Obama sarà sottratto a McCain e viceversa, visto che ogni indipendente può votare solo in una delle due conventions. Invece la scelta di Rudy Giuliani di snobbare le primarie di gennaio e concentrarsi solo sui grandi stati, a partire dalla Florida (29 gennaio) comincia a rivelarsi molto rischiosa, perché in questo mese perderà del tutto l'indispensabile exposure ai media. Come Diogene con la sua lanterna cercava l'uomo, così gli strateghi repubblicani cercano disperatamente un candidato credibile. Le quotazioni del sindaco di New York Michael Bloomberg salgono. Ma tutto è in bilico e nulla è giocato.
Il baraccone delle primarie è pronto a trasferirsi. I camper delle tv sono già in autostrada. Il silenzio torna sulle ventose campagne dello Iowa, e forse fra quattro settimane tutta questa attenzione pignola ci sembrerà appunto, come a Qoelet, solo «fame di vento».

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …