Umberto Galimberti: Aborto, diritto delle donne

11 Gennaio 2008
Giuliano Ferrara, non so se in accordo preventivo con le gerarchie ecclesiastiche, o con le gerarchie ecclesiastiche subito al seguito della sua iniziativa, ha approfittato della recente approvazione all'Onu della moratoria sulla pena di morte per estendere analoga moratoria alla pratica dell'aborto. In questo modo ha rimesso in discussione la legge 194, approvata con un referendum degli italiani trent'anni fa, trascurando il fatto che questa legge, oltre a rendere drasticamente marginali gli aborti clandestini, ha ridotto del 40 per cento le pratiche abortive.
Ora, se consideriamo che compito dello Stato non è costruire la "città ideale", ma ridurre il più possibile il male nella "città reale", dobbiamo dire che questa legge ha funzionato ed è entrata nella sensibilità comune degli italiani e soprattutto nel vissuto delle donne, sul cui corpo lo Stato non può decidere, né nella forma dell'aborto forzato come accade in Cina, né nella forma della proibizione dell'aborto come si vorrebbe da noi, perché in entrambi i casi significa considerare la donna non come "persona" e quindi come soggetto di libere scelte, ma come semplice "funzionaria della specie", quindi sotto un profilo che non esitiamo a definire di "bieco materialismo", in barba a tutti i valori spirituali che si vorrebbero difendere con la proibizione generalizzata della pratica dell'aborto.

La grande contraddizione
Per rendercene conto è sufficiente considerare l'insanabile contraddizione che esiste tra la "natura" e l'"individuo". La natura quasi sempre rifiuta l'aborto perché, per la conservazione della specie, ha bisogno di tanta vita. Non perché la vita sia "sacra". Alla natura non appartengono giudizi di valore. Per questo essa spreca tante vite senza rimpianto.
Nel suo ciclo crudele e innocente di vita e di morte, alla natura i singoli individui interessano solo in quanto riproduttivi. Le loro biografie, le loro storie, i loro progetti, i loro sogni, il senso che essi cercano nel breve tragitto della loro esistenza, alla natura non interessano proprio nulla perche, come vuole l'immagine di Goethe: ‟Nel vortice della sua danza sfrenata la natura si lascia andare con noi, finché siamo stanchi e le cadiamo dalle braccia. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere molta vita. Sembra che abbia puntato tutto sull'individualità, eppure niente le importa degli individui”.
Questa, tra natura e individuo, è la grande contraddizione che nel corpo della donna, dove le esigenze della natura e quelle della propria soggettività confliggono, diventa la grande lacerazione che non consente sempre alla donna di coincidere con l'istanza materna e all'istanza materna di essere sempre compatibile con la realizzazione della propria individualità.
L'aborto è solo il drammatico epilogo di questa lacerante contraddizione, che viene prima di tutte quelle giustificazioni razionali, assolutamente da non trascurare, che sono l'età in cui si resta incinte, il numero dei figli già nati, le risorse economiche della famiglia, il costo delle abitazioni, la scarsa disponibilità di nidi e di asili, la sempre maggior difficoltà delle famiglie nucleari di oggi di farsi aiutare.
Tutte queste ragioni vengono dopo, molto dopo. Prima di queste, incoffessatamente, segretamente, incosciamente, c’è il rifiuto della donna di consegnarsi ineluttabilmente e incondizionatamente alle richieste della natura, che guarda gli individui esclusivamente come fattori riproduttivi per la sua autoconservazione. Nella donna, infatti, tra la sua soggettività e il suo essere madre può non esserci coincidenza, e l'aborto è il gesto drammatico che sancisce questa lacerante distanza.
I rappresentanti dei vari "movimenti per la vita", oggi impegnati nei consultori a dispensare i loro consigli, non conoscono questa lacerazione. Con la parola "vita" essi pensano alla vita della "natura" non a quella dell’‟individuo”, dimenticando che è stato proprio il cristianesimo a far nascere e a far crescere il concetto di "individuo". E lo ha fatto emancipando la persona dall'ordine naturale, per instaurarla come compiuta soggettività, a cui compete capacità di discernimento e libero arbitrio. Si è dimenticata la Chiesa di questo suo principio che ha dato forma alla cultura occidentale, rendendola riconoscibile e differenziandola dalle altre culture proprio a parrire da questo suo dettato?
Non è chi non vede, infatti, che la vita e gli interessi dell'individuo non coincidono sempre e in ogni caso con la vita e l'interesse della specie. Non è una faccenda di egoismo, quindi una faccenda morale. È il segno di una contraddizione insanabile tra la vita della natura e la vita dell'uomo che, a differenza dell'animale, non coincide perfettamente con l'ordine naturale. L'aborto, che gli animali non praticano, è uno dei segni evidenti di questa non coincidenza.

Per una morale laica
Si dirà: non è necessario arrivare all'aborto, ci sono i contraccettivi o la pillola del giorno dopo per evitare gravidanze indesiderate. È vero. L'obiezione è ineccepibile e, a parte la riprovazione della morale cattolica anche in ordine all'uso dei contraccettivi e della pillola RU486, un'adeguata informazione e una corretta educazione sessuale nelle nostre scuole sarebbe davvero auspicabile. Certamente più utile delle crociate anti-abortiste, che servono solo a colpevolizzare chi non trova una via d'uscita nella morsa del conflitto tra individuo e natura.
Ma neppure questo in Italia si riesce a fare per l'intollerabile ossequio della nostra politica alle indicazioni che provengono dalla gerarchia ecclesiastica. Per un deficit insopportabile di laicità. E quindi di democrazia. Perché come è vero che un laico non obbliga un cattolico a divorziare, ad assumere contraccettivi, ad abortire, così un cattolico non può obbligare chi non la pensa come lui ad attenersi ai suoi principi.
Cosa dice il Partito democratico in proposito? Che posizione ha preso in ordine al testamento biologico, alla pillola del giorno dopo, alla fecondazione assistita omologa ed eterologa, alla diagnosi preventiva, al rifiuto della tecnica quando si deve nascere per rispetto della "procreazione naturale" e il ricorso massiccio alla tecnica quando "per natura" si dovrebbe morire, come nel caso Welby? Non rischia questo partito di implodere proprio sulle questioni etiche, non assumendo posizione su nessuno dei problemi qui elencati per non lacerare se stesso? E non è in vista di questa implosione che Giuliano Ferrara ha sollevato di proposito la questione dell'aborto, subito affiancato dalle gerarchie ecclesiastiche, più interessate alla difesa dei loro principi che alle sorti dell'uomo?
Per sentirmi in un paese democratico chiederei alla politica e, se non a tutta, al meno a quanti si riconoscono nel partito democratico, una chiara presa di posizione in ordine alla laicità, smascherando la sottile persuasione che si va diffondendo secondo la quale, senza religione, non è possibile darsi una morale. Non è così. Basta rifarsi a due fondamentali insegnamenti di Kant. Il primo recita: ‟La morale è fatta per l'uomo, non l'uomo per la morale”. Che è quanto basta per far piazza pulita di tutte quelle morali fondate sui principi religiosi, che nel nostro tempo sono inapplicabili, perché formulati quando la natura era considerata immutabile e non come oggi in ogni suo aspetto modificabile. I progressi della scienza e della tecnica, che la chiesa non ha mai smesso di contrastare, rendono quei principi del tutto inutilizzabili. Il secondo dettato che Kant pone alla base della morale laica recita: ‟L'uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo”. Un principio questo che, applicato alla questione dell'aborto, significa: non trattare la donna solo come un "mezzo" riproduttivo, imponendole in ogni caso la procreazione, ma come un "fine", e quindi come persona libera e responsabile delle sue scelte.
Credo che bastino questi due principi difficilmente contestabili per ispirare un'etica laica, come deve essere quella dello Stato se vuoi essere rispettoso di tutte le opinioni e le credenze, comprese quella cristiana, perche neppure il cristiano può accettare di trattare la donna come un "mezzo" e non come una "persona", dal momento che fu proprio il cristianesimo, lo ripetiamo, a introdurre nella nostra Cultura il concetto di "persona".
Un'ultima parola agli uomini di religione. Se avete bisogno degli strumenti giuridici per difendere la vostra morale imponendola a tutti, dimostrate solo la debolezza della vostra fede che, se ricorre al dispositivo legislativo, vuoI dire che più non si fida del convincimento delle coscienze. A me questo pare un problema grave. Ma è un problema vostro, che però non potete far pagare anche a chi non aderisce al vostro credo.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …