Michele Serra: Angese, la satira senza ideologie

18 Febbraio 2008
Nella formidabile leva satirica esplosa negli anni Settanta, formatasi attorno a Linus e soprattutto al Male, Angese, scomparso lunedì a Perugia, si distingueva per un dono molto raro tra le sensibilità di opposizione, allora come oggi: la sua era un’arte allegra. Nelle sue strisce il potere era tradotto in una teoria di pupazzetti assai più comici che tragici, con trame da cartoon, contundenti e deraglianti. Era molto difficile odiare i suoi Craxi e Martelli, i suoi democristiani e i suoi comunisti ridotti alla natura piccina e tonda di puffi presuntuosi ma sostanzialmente impotenti, travolti essi stessi dalla vanità o dalla supponenza. Tra tutti, Sergio era forse il più istintivamente libero da ideologie e militanze (non dalle idee, che sono altro) in anni nei quali esserlo non era semplice e difatti non era consueto. Era il potere nel suo assieme, come luogo paradigmatico della seriosità e del sussiego, a farlo ridere. Il suo disegno veloce, naturalmente comico, incapace di deformare in senso grottesco o insultante i volti dei potenti, semplicemente trasferiva le gesta dei politici dalla greve complessità della vita pubblica a una specie di demenza infantile: nessuno come Angese sapeva indovinare, dietro la maschera delle Alte Responsabilità e del Ruolo Istituzionale, dietro le cravatte e le grisaglie, il bambino litigioso e megalomane che è l’anima profonda di molti atteggiamenti adulti. Lo sguardo allegro di Angese era una vocazione irriducibile: ai tempi di Tango e di Cuore era frequente vederlo discostarsi dalle discussioni più aspre e seriose, e sentirlo ripetere, con voluta determinazione, che ‟bisognava divertirsi”. Concetto che, specie in quegli anni, poteva facilmente essere malinteso, come un indizio di leggerezza o di disimpegno. Era invece, quel richiamo al ‟divertimento”, non solo un antidoto al settarismo, ma anche l’indicazione della natura ‟altra” della satira rispetto alla politica e al giornalismo. Divertirsi, per lui, voleva dire mantenere il proprio punto di vista lontano dall’appiccicosa, contagiosa serietà del potere. Anche per questo se ne era andato da Roma ancora giovane, a vivere in Umbria in mezzo alla natura. Aveva perduto contatti e, a sua volta, «potere», il potere contrattuale con i giornali e l’editoria, e nei suoi ultimi anni ha avuto molto meno di quanto avrebbe meritato. Ha messo in piedi una scuola di satira, andava a cavallo, collaborava con il Quotidiano Nazionale e teneva un blog, nel quale il suo disegno procedeva spedito verso nuove forme. I pupazzetti sono diventati fisionomie più complicate, il volto umano si allontana dalle stilizzazioni cartoonesche delle origini. Ma lo spirito era sempre quello: in una delle sue ultime tavole Walter Veltroni è Ciccio, l’assistente pingue e pigro di Nonna Papera, il potere rimane pur sempre un fumetto e ridurlo tale è la massima rivincita che un uomo senza potere ha la fortuna di potersi concedere. Una malattia feroce e ingiusta lo ha portato via a cinquantasei anni, pochissimi per chiunque, ancora meno per una persona che aveva ancora molta voglia di giocare. I suoi amici dicono che è stato molto coraggioso. Forse per le persone spiritose, che conoscono i limiti delle cose, essere coraggiosi è più facile. Le ceneri saranno sepolte nella Libera Università di Alcatraz, Santa Caterina di Gubbio, alle 17 di sabato 23.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …