Marco D'Eramo: Iraq. Capitolo quattromila

25 Marzo 2008
Per l'esercito statunitense, il pedaggio dei caduti in Iraq ha ieri superato la barriera dei 4.000 morti (in cinque anni e tre giorni). Vi andrebbero aggiunti i 308 periti della coalizione (di cui 175 inglesi, 33 italiani, 18 ucraini, 13 polacchi, 12 spagnoli...) e 422 mercenari, o contractors (‟appaltatori”, secondo l'eufemismo invalso), per un totale di 4.730 alleati uccisi.
La notizia è che questa notizia non fa più notizia. Lo stillicidio delle morti è equiparato a quello delle vittime del traffico: se ne parla - in un trafiletto - solo in caso di decessi multipli (i 700.000 civili iracheni uccisi sono addirittura ignorati).
Non sono solo i morti a non fare più notizia negli Stati uniti, è la guerra stessa. Ancora nei primi nove mesi del 2007 riguardava l'Iraq il 18% delle notizie di apertura, ma solo il 9 % nei tre mesi successivi e appena il 3% nei primi tre mesi di quest'anno. Come se i media si fossero all'improvviso distratti, tanto che è stata loro diagnosticata quella sindrome di ‟deficit di attenzione dovuta a iperattività” (la sigla inglese è Adhd) che negli Usa colpisce milioni di pargoli vivaci curati a colpi di Ritalin (una varietà di anfetamina).
Ma è dubbio che il Ritalin possa guarire i giornalisti: l'amministrazione Bush fa di tutto per insabbiare la guerra. Ricordate quando un malaugurato osò fotografare le bare dei caduti che venivano sbarcate negli Usa? Sembrò che avesse rivelato un (osceno) e pericoloso segreto militare. Mai il presidente o il vicepresidente hanno assistito a un funerale. Per la prima volta nella storia, gli statunitensi sono orfani di eroi. Per una società educata a dividere il mondo in buoni e cattivi, e a vivere ogni guerra come un western in cui alla fine i buoni (americani) vincono, l'Iraq è il primo western all'italiana, dove anche i buoni sono cattivi che torturano i cattivi. Ma certo, se la strategia è ‟riferisci solo le notizie positive, e taci le negative”, in effetti c'è poco da riferire dall'Iraq. E se l'unico fatto positivo degli ultimi mesi è che la media mensile dei caduti americani è crollata da 90 a 30, tanto più è opportuno tacere.
Più in profondità, il silenzio dei media corrisponde al bisogno di rimuovere, come il fastidio di un fumatore quando si parla di tumori: ‟Lo so, ma non voglio parlarne”. È l'ansia di rimuovere, ancor più della recessione in corso, a far retrocedere la guerra al secondo posto nelle priorità della campagna presidenziale, dopo l'economia. La guerra vissuta come un fardello da sopportare e di cui nessuno sa davvero come disfarsi. Al di là della retorica elettorale, nessuno ha una ricetta facile su come districarsi dal ginepraio iracheno. Allora tanto vale lasciar scorrere il flusso dei morti, anche se sai che per ognuno di questi caduti dovresti, parafrasando Bob Dylan, porre la domanda: ‟Come fai a chiedere a un uomo di essere l'ultimo uomo a morire per uno sbaglio?”

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …