Marco D'Eramo: Presidenziali USA. Orizzonti di crisi

23 Settembre 2008
Che sfiga per i texani che l'uragano Ike li investa oggi e non dieci giorni fa quando era in corso la Convention repubblicana! Oggi saranno colpiti da un tornado più forte, dal fronte più ampio, in una zona più popolosa e con più raffinerie a rischio, di quanto è successo il primo settembre alla Louisiana con il ciclone Gustav. Ma allora - Convention oblige - il presidente George Bush si precipitò nel Sud per far dimenticare la disastrosa gestione dell'uragano Katrina nel 2004. Per Gustav, risoltosi in un flop, la protezione civile e i media furono mobilitati, solo perché i repubblicani potessero sfruttare la meteo. Oggi invece per Ike i texani sono traditi dal loro presidente (Bush è stato governatore del Texas prima di trasferirsi alla Casa bianca) che non dovendo più giustificare la propria assenza dalla Convention, non si è scomodato per questo tornado che ha già provocato l'evacuazione di 3.5 milioni di persone (accoglie 11 milioni di abitanti la zona minacciata da Ike, per caso nomignolo di un altro presidente repubblicano, Dwight D. Eisenhower). Ma non sono solo cicloni tropicali ad abbattersi sugli Stati uniti: un uragano si sta affacciando anche sulla finanza Usa. Il governo pensava di aver superato il peggio dopo il salvataggio dei due giganti dei mutui edilizi, Fannie Mae e Freddie Mac operato lunedì con la più grande nazionalizzazione della storia Usa. Ma cinque giorni dopo è a rischio bancarotta una delle quattro grandi banche d'investimento di Wall Street, Lehman Brothers. Lehman non riesce a trovare un compratore per tutti i debiti accumulati in anni d'investimenti e acquisti a credito. Col risultato che ora il rapporto tra l'esposizione e il capitale sociale è di un dollaro d'esposizione per 4,7 centesimi di capitale. Le voci sulla bancarotta di Lehman si sono moltiplicate dopo che si sono ritirati investitori stranieri che avrebbero dovuto rilevare la banca. Ieri le azioni Lehman si scambiavano a 3,8 dollari: nel novembre 2007 valevano ancora 67 dollari. Un anno fa il valore di mercato di Lehman era 38,4 miliardi di dollari, oggi è appena 2,9 miliardi. Si profila quindi un altro salvataggio colossale. Ma neanche questo assicurerebbe l'uscita dalla crisi finanziaria. Il prossimo gigante a rischio è Merril Lynch che oggi vale 29,7 miliardi di dollari, molto meno della metà dei 62,8 miliardi di dollari che valeva l'anno scorso. E ieri le azioni Merril Lynch sono scese di un altro 9%. In realtà non è un caso che queste banche precipitino dopo il salvataggio di Fannie e Fred, che ha penalizzato pesantemente gli azionisti di questi due colossi: e tra i maggiori azionisti ci sono proprio le banche. Il problema però è più generale e il suo nome è deleverage , la riduzione del proprio debito. Per ridurre il proprio debito le banche e gli istituti finanziari devono vendere assets , ma queste vendite fanno scendere il valore degli assets stessi aumentando il tasso d'indebitamento. Per la stessa ragione le banche sono più restie a concedere prestiti e mutui, e la spirale si avvita. Tutto ciò si ripercuote sul portafoglio dei singoli cittadini. E ad agosto i consumi sono scesi per la prima volta in 17 anni.
Un dollaro più forte e un greggio meno costoso possono alleviare i timori d'inflazione, ma non sono in grado di rilanciare l'economia. Tanto più che si preannuncia una crisi ancora più devastante dei mutui subprime, la crisi delle carte di credito in sofferenza. In questo quadro s'inserisce lo sciopero appena cominciato nella più grande industria aeronautica del paese, la Boeing.
È in quest'orizzonte che si muove la campagna elettorale, ormai nei suoi due mesi finali. I due candidati, Barack Obama e John McCain, sembrano non rendersi conto della gravità della situazione e propongono misure assai tradizionali, e per di più non proporzionate alla gravità della situazione. L'unica posizione che li accomuna è il militar-keynesismo. Giovedì dopo cena, nell'anniversario dell'11 settembre, si è tenuto un forum alla Columbia University di New York: per assistervi, gli studenti dovevano partecipare a una lotteria in cui sarebbero stati estratti i biglietti d'ingresso; 15.000 di loro sono rimasti fuori. Nel forum, gli organizzatori hanno posto le stesse domande prima a McCain e poi a Obama. La ricorrenza ha prodotto un clima bipartisan (i due sono arrivati persino a offrirsi l'un l'altro un posto di ministro nella propria amministrazione in caso di vittoria). Ma l'unica posizione politica di rilievo emersa è che ambedue vogliono procedere a un ampiamento delle forze armate, aumentare il numero dei soldati e pagare meglio i militari.
La cortesia bipartisan è però solo una facciata temporanea. I democratici sembrano nel pallone dopo che su di loro si è abbattuto l'uragano Sarah (nel senso di Palin, la governatrice dell'Alaska scelta da McCain come candidata alla vicepresidenza). Da allora sembra in stato confusionale la campagna di Obama, che finora aveva proceduto come un orologio svizzero. La scelta del senatore del Delaware Joe Biden a candidato vicepresidente appare come un boomerang, non solo per l'impietoso confronto con la Palin quanto a età e appeal mediatico, ma anche per le gaffe che Biden commette un giorno sì e l'altro pure.
La preoccupazione tra i democratici è dimostrata dal pranzo di lavoro che Obama ha avuto, prima del forum alla Columbia, con Bill Clinton nel suo ufficio a Manhattan. Per ridursi a mendicare l'aiuto di un Clinton, Obama deve valutare che la situazione è grave assai. L'impressione è che se i democratici non si affrettano a demolire la Palin, a scovarle qualche scheletro nell'armadio, per loro si mette male.
Tanto per cominciare ieri le pubblicità tv di Obama hanno cambiato tono: in una si vede un McCain che promette di battersi contro le lobbies, coperto mano mano dalle foto dei responsabili della sua campagna elettorale, tutti lobbisti accreditati a Washington.
Dal canto suo la Palin non fa nulla per rassicurare l'establishment e spinge la sua immagine di mamma-pitbull ai limiti dell'inquietante. Finora lo staff di McCain l'aveva sempre protetta da domande imbarazzanti. Ma nella sua prima intervista ci ha detto che pur di salvare l'integrità territoriale di Georgia e Ucraina, è pronta a scendere in guerra con la Russia. Se McCain è eletto e gli viene un coccolone, e ce la ritroviamo come presidente, sono guai.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …

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