Marco D'Eramo: Presidenziali USA. Sugli schermi Usa il confronto del meno peggio

30 Settembre 2008
Sconnessi dal mondo reale. È questa la fortissima impressione lasciata dal primo faccia a faccia tv tra i due candidati alla presidenza degli Stati uniti, il repubblicano John McCain e il democratico Barack Obama. Un sondaggio della Cnn dà in vantaggio Obama su McCain ma, a parere unanime degli osservatori, l'unico giudizio che si può dare non è su chi ha vinto, ma su chi non ha perso: non chi è stato il migliore, ma chi è stato il meno peggio. Di fronte alla più drammatica crisi degli ultimi 70 anni, poche ore dopo il peggiore fallimento finanziario di tutta la storia Usa, quello del colosso Washington Mutual, venerdì notte i due aspiranti inquilini della Casa bianca hanno ripetuto, invariate, le loro proposte economiche, come se nulla fosse successo da tre mesi a questa parte. Hanno ammesso che la situazione è seria, ma poi hanno rifritto la stessa solfa, le stesse ricette, come se nel frattempo la situazione non fosse precipitata. Altro che New Deal! sono apparsi del tutto inadeguati all'immanità del compito che li attende. Come se non si rendessero conto della minaccia che incombe sul tenore di vita e sulle prospettive delle famiglie americane. Perché, se invece se ne rendono conto, allora non hanno idea di come farvi fronte, prigionieri come sono ambedue dell'ortodossia liberista, per cui l'unico strumento di politica economica a disposizione dello stato è quello di diminuire le tasse e aumentare l'offerta di moneta. Lo si vede dalla loro discrezione sul piano di salvataggio proposto da George Bush - i famosi 700 miliardi di dollari da regalare alle banche per liberarle dai loro crediti più sofferenti. La situazione è ironica: non solo gli alfieri del capitalismo selvaggio - l'ineffabile coppia Bush-Cheney - si fanno all'improvviso paladini del ‟socialismo bancario”, la famosa ‟socializzazione delle perdite” che inevitabilmente segue la ‟privatizzazione dei profitti”, ma l'amministrazione Usa più liberista della storia vara una misura che nemmeno l'Urss brezneviana avrebbe più avuto l'ardire di proporre: la nazionalizzazione dei singoli alloggi delle singole famiglie: perché in che cosa consiste il farsi carico dei crediti in sofferenza? A prima vista significa appropriarsi di tutti i pacchetti di derivati finanziari su cui le borse hanno lucrato per cinque anni; ma, raschiando sotto i diversi strati di imballaggio, questi pacchetti non poggiano altro in fin dei conti che sui mutui per le casette, ora in sofferenza, cosicché in realtà, a tutti gli effetti, Bush sta procedendo alla statalizzazione forzata di tutte le villette unifamiliari comprate nell'ultimo quinquennio. Certo, una volta o l'altra lo stato rivenderà con profitto queste casette. Ma per ora assistiamo alla nazionalizzazione più massiccia e più capillare dell'ultimo mezzo secolo. Più prosaicamente, 700 miliardi di dollari sono una torta che fa venire l'acquolina in bocca a tutti, non solo a Wall street che li aspetta come manna dal cielo, ma anche ai parlamentari Usa, sia repubblicani che democratici: controllare una cifra così inaudita costituisce un'altrettanto inaudita leva di potere per anni a venire. Perciò ognuno vuole controllarne almeno uno spicchio. Bush aveva tentato l'ultimo colpo di mano: dopo aver profittato della speculazione che ha portato alla rovina il sistema, ora voleva profittare della rovina stessa. Ma è stato stoppato dai peones del suo stesso partito. Di fronte a un conflitto di interessi di portata così colossale, nel loro dibattito i due candidati hanno scelto di fare i pesci in barile, mantenendosi sulle generali, aspettando l'inevitabile, pasticciato accordo che sarà partorito dalle trattative a oltranza in Campidoglio. E certo, da questo punto di vista, McCain era il pesce più stantio: gli americani non dimenticano le sue ultime parole famose: ‟I fondamentali dell'economia Usa sono solidi”. Ma, se un termine colloquiale può essere usato per un'occasione tanto aulica, l'unico aggettivo per definire il dibattito di venerdì è: ‟loffio”. O, per dirla col New York Times , ‟non ha dato nessuna risposta seria”. Come osserva E l Pais , i due candidati sembrano telecomandati dal proprio staff elettorale, e perciò molto ferrati sui temi lavorati per settimane dai loro consiglieri (in questo caso la politica estera), ma assolutamente privi d'iniziativa se costretti a improvvisare, come sul precipitare della crisi finanziaria. In ogni caso, del tutto incapaci d'influire sulle misure concrete da prendere per fronteggiare l'emergenza e, sotto sotto, ben contenti di lasciare la patata bollente al caro George. Ma la crisi non si ferma, anzi minaccia l'Europa (quanto resisteranno le nostre banchette?). Già in Belgio il gruppo Fortis è sull'orlo della bancarotta. Domani questo primo dibattito presidenziale sarà già preistoria.

Marco d’Eramo

Marco d’Eramo, nato a Roma nel 1947, laureato in Fisica, ha poi studiato Sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Giornalista, ha collaborato con “Paese Sera” …