Giorgio Bocca: La grande delusione

02 Settembre 2009
Un giovane che lavora nella pubblicità mi dice più stupefatto che impaurito: sembra che nessuno dei miei clienti commercianti, imprenditori, sarti, impresari teatrali abbia più una lira. Non spendono, non investono non ti chiedono più nulla. Io per campare sono pronto a vendere per cinquemila euro un lavoro che a me ne costa diecimila. Tutti quelli che conosco navigano come me in un mare senza più acqua, respirano un'aria senza più ossigeno, bussano a porte che si aprono solo per dirti che non hanno bisogno di te.
Il mondo si è diviso improvvisamente fra quelli che i soldi ce li hanno ancora, li fanno ancora girare e quelli che non sanno più bene che cosa li attenda domani, che la siccità un bel giorno finisca così come è arrivata.
Ma in questo mondo spaccato in due, dove la circolazione del denaro che per gli uomini di oggi è come la circolazione sanguigna, che per alcuni funziona e per altri si è fermata, restano ancora dei beni, dei consumi, degli usi, delle abitudini comuni a tutti e ora insostituibili: le vacanze, le automobili, come la voglia di staccare dal lavoro. Ma staccare come, se sei tu che sei stato staccato? La televisione, il tempo che fa e allora, in questo paese rimasto per metà a secco, avvengono incredibili migrazioni vacanziere, sulla circolare di Mestre si formano delle code di sei-sette ore, la protezione civile distribuisce in un'ora diecimila bottiglie di minerale agli automobilisti assetati, i telegiornali fanno vedere spiagge e montagne gremite di gente, anche di stranieri venuti chissà perché come sempre a questi patimenti estivi.
Sarà così la fine del mondo? Un progressivo consumo di risorse, di macchine, di valute pregiate, di case, di tutto, fino al vuoto finale, fino alla parificazione di tutti nella fame e nella sete.
È singolare che proprio nella modernità super liberista della Thatcher e di Reagan, dell'ossessione anticomunista, dei dominanti miti del più feroce individualismo, tutti, ma proprio tutti, siano costretti da questa grande crisi che nessuno sa bene cosa sia e da dove sia arrivata a provare sulla propria pelle che non siamo padroni della nostra vita, dei nostri destini, dei nostri comodi. Che siamo ancora, come nel tempo antico, come sempre, in balìa delle tempeste e delle sette piaghe che un dio crudele può mandare quando vuole sulla terra.
Stupefatti e come paralizzati dalle recenti sanguinose delusioni di tutti gli 'ismi' provati nel secolo scorso: nazismi, fascismi, comunismi che hanno seminato guerre e lager e torture cui ora si aggiunge più che il dubbio la certezza che anche il capitalismo fabbrica di abbondanza non riesca a liberarsi dalle due malattie congenite e misteriose. Come questa per cui improvvisamente metà della gente non ha più una soldo da spendere, da investire, o il coraggio di farlo, sicché non avendo consolazioni migliori partiamo tutti negli stessi giorni verso le infernali code di auto, verso le puzzolenti resse estive.
Per gli uomini di lunga vita come il sottoscritto c'è un altro motivo di stupore: la grande delusione dell'economicismo, la fiducia non solo marxista che il dominio dell'economia avrebbe risolto tutti i nostri problemi. Ma di fronte al giovane pubblicitario che mi racconta più stupito che impaurito che il denaro è sparito dalle sue sorgenti e dai suoi fiumi, che la circolazione sanguigna di cui viviamo si è per metà fermata, come non ricordare che negli anni della fame e del terrore eravamo aperti alle più meravigliose speranze, che c'erano giovani che sacrificavano la vita per tenerle in vita?

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …