Teheran. Zahra muore circondata dal marito e dalle due figlie: il suo volto
sembra finalmente distendersi mentre fuori, inquadrato dalla finestra, appare
nel cielo terso il monte Albroz imbiancato dalla prima nevicata ottobrina. Siamo
nel 1986. Iran e Iraq sono in guerra. La casa di Zahra è vicina all’abitazione
dell’ayatollah Khomeini, uno degli obiettivi privilegiati dei caccia iracheni.
Si dice che Zahra sia morta di spavento nella cantina-rifugio. Quarant’anni
prima si era cosparsa di cherosene e si era data fuoco: da allora ha vissuto
accanto al marito, dal quale era stata in un primo tempo ripudiata, nascondendo
il corpo martoriato sotto una lunga tunica blu. È la figlia maggiore, vissuta a
lungo in Occidente, a prestarci gli occhi per entrare nella vita di Zahra, per
tornare indietro alla sua formazione, alla sua educazione raffinata, alla
giovinezza negli anni trenta – quando Reza Khan forza la modernizzazione del
paese togliendo il velo alle donne persiane –, al suo impiego in un’azienda
francese e all’incontro con un giovane ebreo di cui si innamora. Divisa fra
rispetto della tradizione e ansia di autonomia, Zahra vive una tanto breve
quanto intensa (e illecita) storia d’amore per poi tornare accanto alla madre
che ha continuato a sognare per la figlia un fidanzamento e un matrimonio
secondo il rituale persiano, ormai impossibili. Sposa invece un importatore di
pellicole cinematografiche che la porta con sé nella grande casa del quartiere
Monirrieh, dove Zahra vive circondata dall’ostilità della famiglia del
marito. I figli non bastano a nutrire la sua anima refrattaria a chinare il
capo, il suo sentimento della lealtà e della libertà e in lei viene maturando
una nuova silente ribellione. L’Iran che Zarmandili ci racconta attraverso
Zahra e la ricerca di identità della figlia maggiore è insieme familiare e
lontano, è cronaca e memoria, è un mondo in cui non c’è spazio per l’esotismo
e dove la Storia – e i suoi personaggi: Reza Khan, lo shah Reza Palevi,
Soraya, Mossadegh, Khomeini – finisce per essere sempre ricondotta alla grande
figura di Zahra, catalizzatrice, capro espiatorio, squisito monumento muliebre
di una modalità del vivere e del combattere per la vita che azzera luoghi
comuni (religiosi, politici, culturali) e apre una prospettiva inedita (non
occidentale, non orientale, consapevolmente ibrida) su un mondo di cui sappiamo
poco.