“Nel 2019 mi sono imbattuta in un articolo che raccontava la storia vera dei bambini di Sarajevo portati in Italia nel luglio del 1992 per scampare alla guerra, e mai più ritornati in Bosnia.

La maggioranza viveva in orfanotrofio, ma non si trattava soltanto di orfani: molti avevano genitori o altri parenti vivi, che erano però così poveri da non poterli mantenere, perciò li avevano affidati a una struttura che almeno garantisse loro tre pasti al giorno.

Nel caos della guerra, neppure si riuscirono ad avvertire i genitori della partenza dei figli. L’assedio non durò pochi mesi, come si ipotizzava all’inizio, bensì quattro anni. Diversi bambini furono adottati da famiglie italiane.

Alcuni di loro non hanno mai più rivisto i genitori naturali, altri invece li hanno ritrovati da adulti, quando avevano perso ogni speranza.

La vicenda dei bambini di Sarajevo è risuonata potente in me.

Per quattro anni mi ha accompagnato, diventando una storia di invenzione, un romanzo che racconta di madri e di figli, di che cosa significhi essere figli. Non solo figli abbandonati, ma figli in generale. Figli di donne e uomini, di una terra, di un’epoca. Esseri umani che hanno bisogno di legami, ma che dai legami spesso rifuggono.

In ogni relazione della mia vita, anche la più indispensabile, ho sempre oscillato tra la paura della perdita e il desiderio di slegarmi, e mi sono persuasa che non di rado funzioni così anche per gli altri.

Forse perché per respirare abbiamo lasciato il corpo di nostra madre, e sebbene la nostalgia di quella fusione, di ogni fusione, ci attanagli, temiamo pure che possa toglierci il respiro.

Mi limitavo ad amare te è un romanzo di guerra in cui la guerra diventa la metafora più schietta dell’istinto vitale umiliato a ogni battito dalla possibilità della morte.

È una storia di amicizia nata tra persone che non si sono scelte, e che però continueranno a scegliersi per la vita intera, malgrado non riescano a non ferirsi, ad abbandonarsi.

È una storia in cui la realtà è vista dallo sguardo di bambini e adolescenti. Ci sono giochi in preda all’euforia seppure in mezzo alle macerie, ciliegie da raccogliere sfidando i cecchini, alberi sopra i quali arrampicarsi, soprannomi buffi, canzoni da cantare in coro, piste di sabbia, mare di notte, stelle cadenti, primi baci. E poi c’è la complessità ineluttabile delle relazioni fra adulti.

È una storia d’amore, perché è amore la speranza che nasce furtiva dall’incontro con l’altro, anche quando non crediamo di poter più sperare. È amore la possibilità di ritrovarsi, anche dopo essersi persi o ingannati. È amore riconoscersi simili, proprio lì dove si è più fragili, e non doversi nascondere.

Mi limitavo ad amare te è un romanzo di promesse e tradimenti, di risa e di pianto, di ferite e di cura: a ogni pagina buio e luce, perché di buio e luce è fatta la vita.

Ho finito di scriverlo quando la guerra in Ucraina era già cominciata, con il suo portato di crudeltà che ricorda molto da vicino la guerra nei Balcani: le fosse comuni, gli stupri, i rifugiati, la propaganda, e soprattutto i tentennamenti dell’Europa. A quel punto, mi è parso giusto e necessario averlo scritto, e per questo spero che sia letto.”

 

Rosella Postorino

Mi limitavo ad amare te
Rosella Postorino

Rosella Postorino

Rosella Postorino (Reggio Calabria, 1978) è cresciuta in provincia di Imperia, vive e lavora a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula, incluso nell'antologia Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2004). Ha pubblicato i romanzi La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007; Feltrinelli, 2018; Premio Rapallo Carige Opera Prima), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) ed è fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015). 

Con Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018), romanzo tradotto in oltre 30 lingue, ha vinto il Premio Campiello 2018 e diversi altri prestigiosi premi letterari, quali il Premio Rapallo, il Premio Chianti, il Premio Lucio Mastronardi Città di Vigevano, il Premio Pozzale Luigi Russo, il Premio Wondy e, per l’edizione francese del romanzo (La Goûteuse d’Hitler, ed. Albin Michel), il Prix Jean Monnet. Da questo romanzo verrà tratto un film, per la regia di Cristina Comencini.

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