La fabbrica del passato

Autobiografie Di Militanti Comunisti (1945-1956)

di Mauro Boarelli

Nel primo decennio del dopoguerra, il Partito comunista italiano obbligava i suoi militanti a narrare pubblicamente e a scrivere la propria autobiografia. Questa pratica era importata dall’Unione Sovietica, ma le sue radici erano ancora più antiche della rivoluzione d’Ottobre.
Perché il partito rivolgeva alla propria base una simile richiesta? Perché i militanti aderivano senza riserve (almeno in apparenza) a una pratica che provocava anche sofferenza? Qual era l’intreccio tra la coazione e il desiderio di scrivere? Il libro intende rispondere a queste domande sulla base del più vasto fondo documentario esistente in Italia, che raccoglie oltre milleduecento autobiografie scritte da comunisti bolognesi. La ricerca intreccia molteplici punti di osservazione: il rapporto tra la pratica autobiografica e la religione, la riproduzione degli squilibri nei processi di alfabetizzazione come fondamento dei rapporti di potere all’interno dell’organizzazione politica, l’importanza delle letture dei militanti nella costruzione dei racconti, e infine gli scarti tra la narrazione e la norma che pretendeva di regolarla.
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Mauro Boarelli

Mauro Boarelli è nato a Macerata nel 1962. Ha conseguito il dottorato di ricerca in storia all'Istituto universitario europeo di Firenze. Vive e lavora a Bologna, dove si occupa di …
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  • Marchio: FELTRINELLI
  • Data d’uscita: 31 Ottobre 2007
  • Collana: Campi Del Sapere
  • Pagine: 281
  • Prezzo: 18,05 €
  • ISBN: 9788807104251
  • Genere: Saggistica, Università
Il Pci e i forzati dell'autobiografia. Intervista a Mauro Boarelli

Il Pci e i forzati dell'autobiografia. Intervista a Mauro Boarelli

Nel 1945, il partito comunista esce dalla sua condizione di illegalità; nel corso del 1956, viene divulgato il rapporto che Kruscev presentò al XX Congresso del Pcus; è questo l'arco temporale studiato dallo storico Mauro Boarelli, che concentra la sua attenzione su un tema specifico, quello dell'autobiografia. Una pratica funzionale al modellamento della cultura della militanza, punto nevralgico della contraddizione tra partito di massa e centralismo, con una matrice comune ai precetti gesuitici. Uno strumento, dunque, per costruire la supremazia del partito sugli aderenti, per controllarli e minarne la capacità di conservare spazi privati. Ma anche un luogo formidabile dove, attraverso una ristrutturazione della memoria privata, avveniva la costruzione di una memoria pubblica condivisa: una vera e propria fabbrica del passato.