Gianni Riotta: Diritti umani optional inviolabili solo se serve

08 Gennaio 2003
Viviamo nell'era dei diritti optional. La lotta al terrorismo in America, la costruzione dell'Unione in Europa e la sopravvivenza dei regimi totalitari nel Terzo Mondo, rendono i diritti umani e civili un lusso da rispettare se e quando si può, altrimenti maniere ruvide e arrivederci. Dopo l'11 settembre gli Stati Uniti, la democrazia guida del mondo, hanno conosciuto la malinconia dei prigionieri Talebani detenuti a Guantanamo, senza un chiaro status giuridico, e degli imputati privati da Washington di garanzie costituzionali venerate da oltre due secoli. L'Homeland Security Act, la legge per difendersi da infiltrati come i terroristi sauditi del World Trade Center, fa scattare a Los Angeles le manette ai polsi di un bambino di dodici anni, la cui famiglia è immigrata di nascosto dalla Cina. A Miami, una bimba giamaicana di 18 mesi finisce sul banco degli imputati, sola a balbettare davanti al giudice, perché il ministro della Giustizia Ashcroft nega gli avvocati d'ufficio ai clandestini. Non scrollate le spalle imprecando "i soliti yankee!". Anche in Europa i diritti vanno ai saldi. La Corte federale costituzionale, a Karlsruhe in Germania, boccia la legge che avrebbe aperto le porte a 50.000 tecnici specializzati stranieri , con una promessa di passaporto tedesco. Ronald Pofalla, giurista democristiano, esulta: "Meno male, è tutta gente che non sa neppure il tedesco!". E visto che parliamo di casa nostra: l'inviato del New York Times, Frank Bruni, scrive da Roma: "La Chiesa Cattolica e i leader dei diritti umani... temono che la xenofobia e le clientele politiche nel Paese portino a ingiuste brutalità contro gli emigranti innocenti". E l'Italia è sempre sulla lista nera di Amnesty International per le sevizie impunite contro i dimostranti del G8 a Genova. Ovunque giriate lo sguardo il panorama è pessimo. Israele, la sola democrazia in Medio Oriente in cui un arabo possa votare, vuol bandire dalle prossime elezioni due parlamentari di origine palestinese, Ahmed Tibi e Azmi Bishara. La stampa e il gruppo umanitario israeliano B' Tselem denunciano la pratica della "lotteria": quando i soldati bloccano un ragazzo palestinese gli ordinano di estrarre a sorte un biglietto: "testa spaccata" o "gamba spezzata", e amministrano la punizione sorteggiata. Lo studente diciottenne Amran Abu Hamediye è stato bastonato così a morte, senza che nessuno, fonte sempre B' Tselem, fosse punito. Quanto al fronte opposto, basta l'ultimo attentato a Tel Aviv con 22 morti per chiarire l'idea di diritto delle Brigate Al Aqsa. E ricordate l'indifferenza che accompagnò il linciaggio dei "delatori" palestinesi di Al Fatah sospettati di tradimento? Erano spie? Dissidenti? Innocenti? Non lo sapremo mai, il movimento contro la pena di morte si emoziona solo contro gli Stati Uniti. Noi occidentali, ci preoccupiamo molto per la stabilità dell'Egitto, nostro alleato, e quindi ne condoniamo la brutalità. Il sociologo Saad Eddin Ibrahim, fondatore del centro Ibn Khaldun, è stato detenuto per un anno e mezzo solo per avere criticato la corruzione e la violenza del regime di Hosni Mubarak. Alla fine, grazie alla pressione dell'Unione Europea e al passaporto americano che Ibrahim, 64 anni, ha in tasca, è stato liberato. Sorte peggiore aspetta le due dozzine di egiziani arrestati con lui e gli altri oppositori. Andiamo avanti? Purché commercino con noi, i leader cinesi son liberissimi di fare di testa loro in Tibet e di incarcerare i mistici del Falun Gong, e se non romperà troppo sulla guerra in Iraq, il presidente russo Vladimir Putin avrà mano libera nella feroce repressione in Cecenia. Abbiamo dimenticato che i nostri antenati, in Europa e in America, considerarono i diritti "universali e inviolabili", per gli uomini e le donne. Oggi li commerciamo all'asta, sono inviolabili quando serve, altrimenti violabili, violabilissimi. Quando ne parliamo lo facciamo pro bono, con il paternalismo riservato ai paciosi panda in estinzione. Ci siamo dimenticati che battersi per la tolleranza non è un lusso per le stagioni buone, è il fine, la meta ultima, di una società libera. Il rispetto dei diritti altrui non rende solo le democrazie più giuste e nobili delle dittature: soprattutto le rende migliori, più efficienti. Dove il dibattito è oppresso le idee languono, la ricerca soffre, la politica si irrancidisce, il mercato diventa obsoleto, la morale pubblica si corrompe, l'innovazione si ferma e gli individui si fanno cinici. Questo è il rischio comune, oggi, per americani ed europei. Restare leader del mondo, senza sapere più perché.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …