Gianni Riotta: Se la sinistra rompe il tabù della guerra

12 Gennaio 2004
Nell' intervista di fine d'anno al vecchio Andrea Bonanni, su Repubblica, il presidente della Commissione europea Romano Prodi riconosce: «Quella irachena (...) è stata una crisi della non Europa. Se l' Europa fosse stata presente ed unita, credo che non avremmo avuto la guerra in Iraq. Credo che saremmo riusciti a trovare una soluzione che preservasse la pace». Sarebbe opportuno che, in vista delle elezioni europee 2004 e in crisi internazionale ancora aperta e con nostre truppe in prima linea in Iraq e Afghanistan, la sinistra italiana riflettesse su questo giudizio. Ragioni diplomatiche non permettono a Prodi di andare oltre, ma il tabù è rotto. La verità è che alle Nazioni Unite era possibile un accordo sulla nuova risoluzione, caldeggiata dal primo ministro laburista inglese Tony Blair e, in America, dal Segretario di Stato Colin Powell. Era formidabile la tenaglia politico-diplomatica-militare da stringere intorno a Saddam Hussein. Se Onu, Usa ed Europa fossero stati solidali, e intorno al raìs si fosse chiuso un cerchio di forze che, oltre alla III e IV divisione americane e ai Fucilieri Reali britannici avesse incluso la portaerei con il tricolore bianco rosso e blu Clemenceau e truppe dell' Unione, la pressione avrebbe fatto collassare Saddam, come Slobodan Milosevic in Kosovo. Adesso a Bagdad potrebbe esserci un governo simile alla coalizione, che a fatica ma con progressi ed egida Onu, funziona in Afghanistan, ha messo a punto la Costituzione e indetto elezioni entro il 2004. E' vero che parte dell' amministrazione di George W. Bush preferiva una soluzione unilaterale, ma è storia che il presidente ha scelto invece di portare il caso all' Onu nell' autunno del 2003. Spiace ripeterlo, ma gravi sono le responsabilità del presidente francese Jacques Chirac e della fatua condotta del suo ministro degli Esteri Dominique Galozeau de Villepin (la missione in Africa a caccia di voti Onu, promettendo invano di bocciare i sussidi all' agricoltura!), che hanno confuso infine anche il poco duttile cancelliere tedesco Gerhard Schröder. L' unione dei leader di buona volontà contro Saddam, schierata sotto le bandiere della pace, non considerata mera «assenza di guerra», ma fonte di tolleranza e giustizia, sarebbe risuonata nel mondo nuovo con cristallina forza. I l 2004 riapre il cammino. Sola alternativa alla I guerra globale sono coesistenza e tolleranza, a patto che democrazia non sia il fiocco con cui abbellire i discorsi, ma la radicale leva del futuro. «Esportare la democrazia» è brutta espressione, la libertà non è una merce. Ma questo non implica rinunciare a promuovere la democrazia, ovunque possibile. In Birmania, dove la giunta militare ha condannato a morte un giornalista sportivo per i suoi articoli (la Gazzetta dello Sport ha organizzato in proposito una sua campagna). In Egitto, dove il presidente Hosni Mubarak reprime ogni dissenso. A Cuba, dove si finisce al muro per un articolo. In Russia dove scrivere sui giornali è malattia fatale. In Cina. In Occidente quando occorre, e talvolta occorre. Si devono rispettare culture e tradizioni locali, ma sereni che i diritti dell' uomo e del cittadino sono universali. E' , questo sembra riconoscere il presidente Prodi, la politica più razionale, poiché i dittatori di oggi diventano padrini dei terroristi domani. La rinuncia all' arsenale atomico del colonnello Gheddafi, e il sì alle ispezioni del regime iraniano, dimostrano che la lezione irachena può pagare. E' ora che l' Unione Europea rompa gli indugi e sfidi gli americani dicendo: vogliamo dare una mano in Iraq, basta con le divisioni. Non più come singoli Stati e con Parigi e Berlino a negare anche un solo euro a Bagdad, ma con l' impegno formidabile dell' Unione. Prodi sproni i suoi in tal senso, è la cosa giusta da fare.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …