Gianni Riotta: Tutto va male in Italia? No, è solo pessimismo

15 Marzo 2004
L’Italia non fa bambini, l’Italia perde terreno nella classifica dell’innovazione, l’Italia non vince un Nobel scientifico, o un titolo di calcio, da una generazione, i cervelli sono in fuga, i ceti medi perdono reddito, la sola novità di Sanremo è un ragazzo nato in via Gluck 14 il giorno dell’Epifania 1938. Perché? Le spiegazioni vanno un tanto al chilo, interessi di partiti, lobbies, intellettuali corrucciati, periferie ignoranti. Colpa della Cina con la produzione di massa, colpa degli Usa con la produzione di qualità, colpa dell’inglese (che invece rischia negli Usa il sorpasso dello spagnolo), colpa dell’euro, delle multinazionali, dei no global, di Berlusconi, Bertinotti, delle rappresaglie partigiane, del Duce, di De Gasperi&Togliatti, del Papa Re e Gioberti. No: la colpa è dell’epidemia di pessimismo. Ci siamo trasformati in una cultura che teme il futuro, si accuccia nel presente e rimpiange il passato, ognuno il suo, rosso del ‘68, azzurro della Dc, con il budino della nonna, la 500, Craxi, la campagna mai esistita di Pasolini e delle lucciole. Un mondo che la storia ci testimonia duro, ma che imbalsamiamo in nostalgico Mulino Bianco. Per capire perché la Spagna si accinge a superarci in economia, sapere e gioia di vivere, confrontate i film di Pedro Almodovar e Nanni Moretti, talenti cinematografici latini. Il primo accetta la sfida di vivere sull’orlo della crisi di nervi del tempo, il secondo detesta ogni apparenza del mondo contemporaneo. Per Pedro il mercato, le emigrazioni, i meticci, l’energia terribile e fertile del XXI secolo muovono al futuro con virile responsabilità e ironica accettazione della caducità. Per Nanni, la frigida Italia del dopo Guerra Fredda è museo calligrafico di affetti del Liceo, dove l’unica cosa di sinistra che si possa dire è tacere. Con Stefano Draghi e l’Ipsos realizzammo una ricerca per chiarire perché gli italiani e le italiane si rassegnano serenamente all’estinzione, senza bambini. Ci sono, certo, scarsi aiuti sociali alle famiglie, ma c’è anche l’egoismo dei dannati delle vacanze, il narcisismo di non accollarsi doveri e il pessimismo del «non vale la pena». Non c’è lavoro e ce ne sarà di meno, i politici rubano e ruberanno, va male e andrà peggio. Quando un politico evoca ottimismo, Berlusconi 1994, Prodi 1996, vince, ma subito la palude bipartisan, «non c’è nulla da fare!», si richiude torbida. Il pessimismo italiano è contrastato dal presidente Ciampi, quantificato nel declino industriale da Luciano Gallino e Mario Deaglio, vaticinato nella sfiducia democratica da Luigi Pirandello de «I vecchi e i giovani». Il Ponte sullo Stretto? Nutrirà la mafia. L’euro? Fa aumentare i prezzi. Battersi per i diritti dei poveri? Uh, per carità, non mettiamoci in quei guai. La Nazionale di calcio, che il grande Bearzot guidò all’attacco con i terzini perfino contro il magno Brasile, trema di paura a schierare Totti, Cassano e Vieri. Una vita da codardi. Il Papa ci ha ammonito nella riga più bella del suo pontificato, ormai vicino per durata a quello leggendario di San Pietro, a «non avere paura». Lo applaudiamo, senza ascoltarlo. «Fede e speranza» sono virtù cardinali, ma le dimentichiamo, impauriti, a coccolare lo status quo. Gli intellettuali di moda, poeti nichilisti, filosofi ringhiosi, comici depressi, scrittrici neghittose, polemisti faziosi non hanno il coraggio della catarsi, e ci inducono al cinismo o alla resa. Il nichilismo rode comunità e coscienze. Leggete le «Lettere dal confino 1940-1943» di Leone Ginzburg. Un uomo solo con le sue idee, che non si perde d’animo e, dalla cella dove i nazifascisti lo tortureranno a morte, ci esorta a non perdere di vista il futuro, ipnotizzati da noi stessi.. Quando lo trascinano via da Regina Coeli, da una cella si modula il fischio «Il Piave mormorava...» per sostenere gli ultimi passi di Ginzburg. Dal pozzo della disperazione, l’ottimismo morale partorisce la nuova Italia che lasciamo macerare in accidia annoiata.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …