Gianni Riotta: Il re cowboy contro il francese, la campagna s'infiamma

31 Marzo 2004
Le idee erano morte. Al loro posto slogan, «Scontro di civiltà!», «Fine della Storia!», «Americani da Marte, europei da Venere!», buoni per vendere libri, pessimi per capire la realtà. Le idee, però, sono tenaci, lo stratega militare Basil Liddell Hart diceva che nessuna arma sa piegarle e lo storico John Keegan dimostra che fu la gestione democratica dell' informazione, non la forza, a far trionfare gli Alleati contro Hitler. La campagna presidenziale 2004 in America diventa così campagna di idee. Vincerà, tra il repubblicano George W. Bush e il democratico John Kerry, chi saprà presentare, in spot tv, in comizi, in siti Internet, la migliore sintesi del dibattito corrente. La più convincente risposta alle domande: Come agire nell' età globale? Come battere il terrorismo senza diventare spettro del mondo? Come promuovere tecnologia e mercato senza cancellare la classe media? L' America, ansiosa per i posti di lavoro che scompaiono, angosciata dal terrorismo, divisa dalle questioni morali, «nozze gay?», «invocare Dio giurando fedeltà alla bandiera?», «un feto è un individuo?», «la pena di morte è cristiana?», guarda alle idee per capire dove andare. Prima di decidere, Bush e Kerry devono orientarsi in una cacofonia di proposte, studi, suggerimenti, iniziative, una folla di studiosi e di clown che fa pensare alla vecchia riflessione dello scrittore Max Frisch: c' è qualcosa di comico negli intellettuali in comitiva. Tra gli eccessi, il commentatore radiofonico di destra Rush Limbaugh sfotte Kerry, «E' un francese», l' editorialista del settimanale The Nation Cockburn impreca «Bush? Peggio di Hitler, il nazista garantiva piena occupazione» e un lettore incalza «Al contrario di Bush, Hitler era stato eletto». La sarabanda destra-sinistra passa dal linguista Chomsky: «Gli Stati Uniti sono fascisti ma sono il più libero Paese al mondo» (neppure i cinque anni passati a studiare la grammatica generativa di Chomsky, da ragazzo, mi mettono in grado di spiegarvi cosa voglia dire il suo paradosso, vedi www.blog.zmag.org) a Laura Schlessinger, persuasa che i figli dei divorziati siano handicappati a vita. Al teatro d' avanguardia della Chiesa di St. Mark' s, al Village, tutto esaurito per «Il re cowboy Rufus domina l' universo» satira anti Bush di Richard Foreman, con cappelloni western e sigaraie in minigonna e calze a rete. Anche lo scrittore Paul Auster partecipa alla campagna e compone una canzone contro Bush «Il blues di Re Giorgio»: «Signor Bush paura mi fai/ con quella testa che tu hai/ vieni dal Texas, braccio della morte/ e solo i ricchi son la tua corte!», non Bob Dylan ma la folla applaude felice. I vecchi leoni della letteratura, Norman Mailer, Kurt Vonnegut, Gore Vidal, si lanciano contro il presidente. Vidal affonda la polemica nel passato: «Fu il presidente Lincoln il primo dei tiranni moderni». Ecco il doppio dibattito dell' appassionato 2004: una carovana di polemisti rumorosi si contende la scena, e sotto traccia passa invece il sordo cozzare delle idee che si candidano a guidare l' America nel nuovo mondo. Le elezioni sono un referendum sulla massima del diplomatico George Kennan, il geniale inventore della strategia di «contenere l' Urss» nella Guerra Fredda: «Considerare noi americani come fulcro del pensiero politico, maestri del mondo, è impensabile, vanitoso e indesiderabile... il pianeta non sarà mai gestita da un singolo centro, non importa quanto forte militarmente». Kennan la pensa come sir Liddell Hart, le idee contano più delle armi. Ma al referendum 2004 voteranno contro di lui i conservatori alla Richard Perle e David Frum, persuasi invece che lo show unilaterale della forza, se spogliato dalle illusioni di tolleranza e dai legacci della coesistenza Onu, sia la sola strategia di sopravvivenza nella prima guerra globale. Al Pentagono girano carte geografiche del pianeta con la sovrapposizione delle basi militari dell' Impero Romano, e americane di oggi, per verificare l' efficienza strategica (risultato: la dislocazione romana è più efficace perché semplice da rifornire e prossima al fronte, e Rumsfeld vuol ridislocare le basi sul modello classico, lasciando presto Germania e Giappone). In Europa questo dibattito è letto in chiave «noi contro loro», i saggi europei contro i cowboy yankee, ma si tratta invece di una guerra civile americana. L' Onu e l' idea di una coesistenza mondiale regolata da giustizia internazionale e da organismi condivisi sono copyright Usa, il presidente Roosevelt, il suo segretario di Stato Cordell Hull e l' economista Leo Pasvolsky imposero ai riluttanti Churchill e Stalin l' idea delle Nazioni Unite (il dittatore sovietico pretendeva 16 voti, uno per ciascuna repubblica dell' Urss). La storia dell' America multilaterale che, vinta la guerra, vuol vincere la pace è narrata in «Act of creation: the founding of the United Nations» da Stephen Schlesinger e andrebbe tradotta in fretta per capire su che cosa voteranno gli americani in novembre (magari con svolte imprevedibili, se l' ala internazionalista dei repubblicani, alla Bush padre e Powell, oggi umiliata, riprendesse fiato). Il ballottaggio sarà tra una strategia che diffida del mondo e conta sulla forza per difendersi e una che, proprio perché consapevole di essere superpotenza vuole dialogare con il mondo pur popolato da irriducibili nemici. Stavolta non contano solo i soldi, le tv, il cerone dei maghi di immagini e il chiasso degli artisti. Stavolta contano le idee, gli ideali, la filosofia, le strategie, roba seria, che deciderà della pace e della guerra, della vita e della morte.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …