Gianni Riotta: Le armi non bastano Serve un' idea di società

15 Aprile 2004
George Kennan ha compiuto cento anni. Le lettrici e i lettori più giovani magari non ricordano il nome del diplomatico, eppure se in Italia ormai quasi tre generazioni di cittadini hanno vissuto una vita civile e pacifica il merito è anche suo. Fu Kennan, nel 1946 con le 8000 parole del "lungo telegramma" al presidente Truman e nel 1947, con un articolo sulla rivista Foreign Affairs firmato "Mister X", a proporre la politica del "contenere l' Unione Sovietica" per prevenire la guerra nucleare. Tornato in patria Kennan cadde in disgrazia presso i dottori della Guerra Fredda e cominciò una formidabile carriera di storico e diarista. Nei giorni in cui l' impegno americano nel teatro iracheno della I guerra globale sembra alle corde, con i quattro ostaggi italiani in mano alla Brigata Maometto e la rivolta sciita di Moqtada al Sadr, è opportuno ritornare a riflettere sulla doppia strategia di Kennan: non basta la forza militare in politica estera, occorrono egemonia culturale e una coalizione democratica estesa e solidale. "L' Unione Sovietica - scrisse Kennan - non può essere sconfitta facilmente, e neppure scoraggiata, con singole vittorie dei suoi avversari. La paziente tenacia che la anima può essere contrastata non da atti sporadici che rappresentano gli umori momentanei dell' opinione pubblica democratica, ma da intelligenti politiche di lungo raggio". Se guardate alla primavera 2004 non avete da mutare una virgola: non si vince entrando con i marines a Falluja, arrestando Moqtada al Sadr, Saddam Hussein e neppure Osama Bin Laden, perché "terrorismo" è una tattica militare, non un nemico. Gli alleati nel 1939-1945 non fecero guerra alla "guerra lampo" del generale Guderian o ai raid aerei di lungo raggio dell' ammiraglio Yamamoto Isoroku, ma al disegno strategico di Hitler, Mussolini e Tojo. Per piegare il terrorismo va ripercorsa con pazienza la strada doppia, combattere sul campo, prevenire con l' intelligence, ma anche, come predica da un secolo Kennan, "diffondere nel mondo l' impressione di essere un Paese che sa quel che vuole, che affronta con successo i propri problemi interni e le responsabilità di potenza mondiale, mantenendo però una vitalità spirituale creativa". Perché "il solo potere militare, sia pure di enormi dimensioni, produce successi effimeri". Ecco la vera débâcle in Iraq, la mancanza di offensiva sociale e culturale, quella che milioni di iracheni, felici della caduta di Saddam, si aspettavano con speranza. Il portavoce della coalizione, generale Mark Kimmitt, ha perso le staffe dicendo ai cronisti iracheni di non guardare la rete tv estremista Al Jazira "ma un canale obiettivo" e di non prestare ascolto ai "miti sulle stragi a Falluja". Il generale Kimmitt ha dimenticato Kennan, Al Jazira non ha alternative, non esiste un canale libero che dia notizie credibili. La libertà di stampa, strumento principe delle democrazie, sarebbe la vera arma segreta, senza opinione pubblica e notizie i miti fasulli si moltiplicano, diffusi dal tam tam di al Sadr e dei suoi. I soldati a Nassiriya, i civili ostaggi in queste ore, sono legati alla sorte delle armi, ma il futuro, loro e nostro, dipende dal consenso politico. Ieri lo sfidante democratico di George W. Bush, John Kerry, ha proposto alla Nato di andare a Bagdad, coordinata dall' Onu. Dall' Università Al Quds di Ramallah il professore palestinese di comunicazione Daoud Kuttab, gli ha fatto eco, chiedendo alla Nato e agli europei di presidiare il confine con Gaza, dopo il ritiro degli israeliani. Se le stesse truppe di stanza in Iraq fossero impegnate per la pace in Medio Oriente, la propaganda irata di al Sadr sarebbe meno eccitante per i tanti iracheni stanchi di dittatura, ma disillusi dal dopoguerra. Un "Piano Marshall" di libertà e ripresa economica a Bagdad è la soluzione, l' alternativa è una lunga e sanguinosa guerra di posizione in Iraq con attentati, e sequestri tragici di persona, in Occidente.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …