Massimo Mucchetti: Alitalia. Il governo dica cosa vuole

06 Maggio 2004
Il tracollo dell'Alitalia in Borsa è la gelida sintesi di un'azienda che cancella centinaia di voli al giorno per effetto delle agitazioni incontrollate del personale. Marco Zanichelli, amministratore delegato di fresca nomina (ma di lunga anzianità aziendale), avverte che, di questo passo, si chiude a settembre, quando la cassa sarà vuota. La compagnia di bandiera sta dunque arrivando al capolinea. E però nulla accade. Governo, azienda e sindacati parlano d'altro. Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, solleva la questione della rappresentatività. In astratto, ha ragione: nove sindacati sono tanti per difendere in modo sensato gli interessi delle tre categorie di lavoratori dell'Alitalia; e diventano troppi se non riescono nemmeno a impedire gli scioperi selvaggi. Ma c'è da chiedersi se una riforma dei criteri della rappresentanza sindacale, mai fatta da mezzo secolo, costituisca l'odierna emergenza e, in ogni caso, se possa essere realizzata prima che Alitalia porti i libri in Tribunale. D'altra parte, Alitalia ha un azionista di comando, il governo, che si presenta alle trattative con una squadra guidata dal vicepremier, Gianfranco Fini, e da Gianni Letta più sette ministri. Nove come i sindacati. Anche qui, tanti, troppi per rappresentare una volontà precisa. La folla dei plenipotenziari al capezzale della compagnia nasconde un allarmante vuoto di idee e di potere. Nel 1980, la Fiat ingaggiò con i sindacati una battaglia perfino più aspra di quella che in questi giorni lacera l'Alitalia. La vinse perché aveva una sua idea di futuro. Da qualche anno la Fiat è di nuovo in crisi e ora affronta a Melfi il suo calvario. E tuttavia lo fa con una credibilità maggiore di quella di Alitalia perché ha sacrificato un po' di gioielli di famiglia, ha un azionista che ha messo mano al portafoglio e ha scelto sul mercato due manager di prima grandezza. Forse non basterà a evitare, una volta usciti dal guado, alleanze ingombranti per il tricolore. Ma un gruppo di persone che si rimbocca le maniche può autorizzare qualche speranza. La diagnosi dei mali dell'Alitalia è stata ormai squadernata: aerei che volano troppo poco; più famiglie di velivoli mentre ne basterebbe una; due hub destinati a restare nani, quando Francia, Spagna e Regno Unito ne hanno uno; il personale di Malpensa che vive in gran parte a Roma; costi della rete di vendita esagerati. Trattandosi della compagnia di bandiera - un lembo di patria per alcuni milioni di italiani all' estero - l' azionista dovrebbe esprimersi al massimo livello, e dunque per bocca del ministro dell'Economia o, addirittura, del presidente del Consiglio. Che al Paese dovrebbe dire apertamente se Alitalia debba esser lasciata fallire perché non siamo più in grado di giocare un ruolo importante nel trasporto aereo o se, invece, dobbiamo avere ancora una compagnia nazionale e alleata con partner esteri di rilievo. In questo secondo caso, l' azionista responsabile indica un capo azienda con pieni poteri scelto sul mercato e non nelle anticamere dei partiti, o conferma l' attuale se ci crede. Poi, sulla base di un piano attendibile, mobilita le risorse indispensabili aprendo un colloquio non subalterno con l' Unione Europea. A quel punto, se i sindacati non capiranno, potrà andare allo scontro e avere dalla sua il Paese. E anche le forche caudine di un commissariamento in stile Parmalat risulteranno accettabili.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …