Gianni Riotta: Il ribelle e il presidente: così vince sempre l'America

28 Maggio 2004
Ai seminari di politica internazionale si scherzava sempre: "Quali sono i due luoghi più esplosivi al mondo? La frontiera nucleare India-Pakistan e la panchina dell'Inter". Beh, la panchina dell'Inter conferma la sua instabilità, ma da almeno un anno è l'Atlantico, frontiera Usa-Europa, il luogo di frizione più inquietante. La vittoria del regista americano Michael Moore ieri, a Cannes, sarà giudicata dunque come una nuova schermaglia nella rivalità tra le due rive dell'Oceano. Moore conquista la Palma d'Oro, con Fahrenheit 9/11, un documentario ironico contro il presidente George W. Bush e la sua politica dopo la strage del World Trade Center. Bush che gioca a golf inane, Bush che ascolta i consiglieri e si perde, il clan Bush più interessato a far soldi che a dirigere il paese. È la prima volta che un documentario vince la Palma, dal 1956, quando trionfò Jacques Cousteau con il suo mondo sommerso. Anche Moore lavora sott'acqua, sotto la superficie della politica e dell'economia. L'anno scorso ha ricevuto il premio Oscar per Bowling a Columbine, pellicola struggente sulla cultura della violenza tra i ragazzi americani. I suoi film fanno cassetta, Columbine è costato 5 milioni di dollari e ne ha guadagnati 120. "Cosa avete fatto?" ha chiesto Moore commosso ai giurati, presieduti dall'altro bambino terribile del cinema Usa, Quentin Tarantino. Che cosa hanno fatto lo sanno bene i vip di Cannes e lo sa anche Moore. La Palma d'Oro è una protesta in schermo gigante, spedita a nome di tutti gli intellettuali europei a Bush, così come l'Oscar dell'anno passato era stato uno striscione contro la Casa Bianca firmato dalla California e il premio Nobel per la Pace all'ex presidente Jimmy Carter, nel 2002, un invito a non attaccare l'Iraq. In molti caffé europei si brinderà a Moore e alla sua iconoclasta carica, cominciata con il brillante Roger and me, il regista che insegue l'amministratore delegato della General Motors, Roger Smith, per chiedergli "Scusi, perché sta licenziando tanta gente?". Un brindisi al quale ci si associa con piacere, perché Moore è un bravo artista, divertente, che ha compassione e spirito. Ma nel giudizio politico, che tanti tireranno in fretta davanti alla Palma d'Oro, "Schiaffo della Vecchia Europa ai cowboy amerikani!" un po' di cautela sarebbe opportuna. La doppietta di Moore, Oscar 2003 e Palma d'Oro 2004, testimonia non di un'Amerika in duello con la Vecchia Europa, ma di due schieramenti politici, definiamoli per comodità progressisti e conservatori, che si danno battaglia su entrambe le sponde dell'Atlantico. Vivesse in Europa, Moore se la prenderebbe con Chirac, come fanno Nanni Moretti e Pedro Almodovar con Berlusconi e Aznar. Il vero interesse della vittoria di Michael Moore è nella capacità dell'America di saper rinnovare quella che Antonio Gramsci chiamava "egemonia culturale". Con il repubblicano Eisenhower alla Casa Bianca sono i poeti Beat che la critica Nanda Pivano battezza "l'altra America" a far sognare i ragazzi europei ("Ho visto le migliori menti della mia generazione..." scrive Ginsberg). John Lennon guarda alla macerie di Liverpool e strimpella "L'America, tutto veniva da lì...". E con i duri Nixon e Kissinger al potere, Bob Dylan suona, Stan Brackage esporta cinema sperimentale, il Living Theatre illustra le passioni e le gelate della Guerra Fredda. Cannes ha premiato Moore come un volantino di protesta contro Washington. Nel farlo però riconosce la ricchezza duratura degli Stati Uniti, il soft power, il potere soffice dell'egemonia culturale. Solo un paese che ha una profonda identità può far votare il mondo in un referendum ideale che oppone la sua leadership politica e i suoi dissidenti culturali. Tanti antiamericani d'assalto gioiranno alla Palma di Cannes e guarderanno Fahrenheit con solerzia. Il regista però precisa sempre nelle sue interviste "Sono io l'americano più patriottico che ci sia al mondo". La polemica che Moore lancia contro Bush è un inno a una patria libera e ironica, come "Il Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco..." del Giusti. Per Moore Bush e i grandi finanzieri stanno tradendo il sogno americano di giustizia e libertà: "Mio padre faceva l'operaio alla General Motors, andava al lavoro alle 6 e tornava tranquillo a casa alle 2, prima che noi rientrassimo da scuola. Il suo boss gli chiedeva consigli su come costruire automobili migliori. Mi chiedo perché non torni questa America". È una visione ovviamente tarata da nostalgia e rimpianto, che ricorda un mondo dolce e familiare mai esistito, come la campagna solidale di Pier Paolo Pasolini. Il suo impatto con la nostra coscienza, in ansia per la complessità della guerra e della globalità, rende rassicurante il passato perduto. Questa è la chiave politica di Moore, ma l'approccio artistico è, a sorpresa, patriottico, fa lui da portabandiera degli Usa, abbandonati da un'amministrazione ingorda e goffa. Da Henry Thoreau che predica meditazione all'America industriale, all'eroe Robert Jordan di Hemingway che si sacrifica contro il fascismo europeo, al cantante folk Woody Guthrie "questa terra è la mia terra", "l'altra America" non s'è mai alienata dall'America, rivendicando gli ideali di giustizia della Rivoluzione 1776. Moore torna a casa onusto di gloria a cercare un distributore per Fahrenheit, che la Disney non vuol mandare nelle sale temendo polemiche. Trovata la nuova etichetta, riprenderà a lavorare, progetta un film su Israele e Palestina, uno sulla crisi energetica, uno sulla sanità in America. Se i consiglieri di Bush non fossero troppo intenti a contraddirsi uno con l'altro sull'Iraq, suggerirebbero al presidente di concedere a Moore la medaglia annuale dedicata ai migliori intellettuali. Michael Moore protesterebbe e farebbe un po' di caos, si presenterebbe poi a riceverla felice. Sono tante le facce dell'America, non sottovalutatene nessuna: il ministro socialista della cultura francese Jack Lang voleva cancellare lo slang yankee dai vocabolari parigini e finì a dare la Legion d'Onore al clown Jerry Lewis e al cow boy Clint Eastwood. Se brindano gli antiamericani per Moore, dunque, brindino anche i filoUsa: dopotutto a Cannes, fuori casa, ha vinto uno yankee...

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …