Gianni Riotta: Onu. Alla Risoluzione 1546 serve lo spirito di Beirut

18 Giugno 2004
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha detto ieri che, a suo avviso, l'Iraq è ancora troppo pericoloso perché l'Onu possa tornare a Bagdad. "Sono terribilmente preoccupato dalla situazione in campo - confessa Annan - per fortuna il Consiglio di Sicurezza ci chiede di rientrare "solo quando le circostanze lo permetteranno"". I 41 morti e gli oltre cento feriti di ieri, vittime di agguati con le autobombe dei terroristi, sembrano giustificare la prudenza del segretario generale, che ha spiegato ai reporter di non riuscire neppure a trovare un nuovo inviato per sostituire Lakhdar Brahimi: "I candidati arrivano da me entusiasti, parliamo della missione e, dopo una settimana o due, tornano e mi dicono: ‘Mi piacerebbe un sacco, ma ho moglie e famiglia, non posso’". Sarebbe ingeneroso farsi beffe della cautela di Annan, o chiedersi come mai diplomatici veterani di tanti azzardi stavolta nicchino.
L'Onu ha pagato nell'agosto 2003 con 22 morti e la vita dell'ambasciatore Sergio Vieira de Mello e adesso fa bene a ragionare. Ma dopo aver riflettuto con calma, e stimata l'alea, in pubblico e in privato, sarebbe assai grave se la Risoluzione 1546 non trovasse presto in Iraq gli uomini Onu a coordinarla. Quel testo, che tanto ha fatto sperare ma dietro cui si cela il cinismo di tanti, assegna alle Nazioni Unite compiti cruciali: indire la Conferenza nazionale per luglio; preparare le elezioni; partorire la nuova Costituzione; gestire gli aiuti e la ricostruzione; garantire i diritti umani; stilare il censimento.
Vedono subito i lettori che, a queste condizioni, senza Onu il passaggio dei poteri previsto per il 30 giugno tra americani e iracheni resta cosmetico.
Kofi Annan può schermirsi dietro le omissioni del Consiglio di Sicurezza: la 1546 prescrive la mobilitazione di 4.000 caschi blu per garantire la sicurezza dei diplomatici Onu e ancora nessuna nazione s'è detta disponibile a offrire le truppe. Né fioccano aiuti per la ricostruzione. La posta in gioco a Bagdad dovrebbe suggerire un atteggiamento ben più risoluto. Le Nazioni Unite sono un'organizzazione unica, senza la quale il poco di tolleranza di cui il pianeta gode, languirebbe. Quando hanno agito con coraggio, per esempio a Beirut con Giandomenico Picco inviato dal segretario generale Javier Perez de Cuellar a negoziare la liberazione degli ostaggi, il risultato è stato positivo e la bandiera blu ha garrito orgogliosa. Più di una notte Picco, bendato, venne trascinato dai terroristi, incerti se discutere, giustiziarlo o rapirlo a sua volta. Quando invece l'Onu s'è fatta prendere dalla burocrazia pavida di un malinteso senso di equidistanza tra male e bene, tra dittatori e democrazie, tra criminali di guerra e forze di pace, allora è precipitata nella vergogna. Ancora ieri, a Srebrenica, hanno tratto tre poveri corpi mummificati dal canalone dove i serbi bosniaci si accanirono contro i musulmani nel luglio del 1995, uccidendo 7.000 tra uomini e bambini e stuprando centinaia di donne. Fu il generale Bertrand Janvier a tremare davanti al signore della guerra Ratko Mladic.
Srebrenica, area di pace "garantita" dal'Onu, divenne trappola mortale.
La diplomazia, la prudenza, il tatto nel mondo grande e terribile sono da sempre sigla Onu e codice genetico del segretario Annan. Oggi però la bilancia in Iraq va fatta pendere senza indugi dalla parte della pace, della stabilità e della semina di democrazia. Lasciare che le polemiche, anche aspre, di un anno fa, i giochi delle cancellerie, il risentimento per lo scandalo "oil for food", i fondi neri di Saddam ai tempi delle sanzioni, offuschino l'impegno delle Nazioni Unite e releghino la 1546 tra le tante Risoluzioni calpestate come gride dell'Azzeccarbugli, mina il prestigio dell'Onu e logora la capacità di intervento del segretario. Molti entusiasmi sulla 1546 erano precoci. Il presidente Bush ne aveva bisogno e i suoi avversari-alleati in Consiglio di sicurezza non hanno creduto di doverlo stavolta fermare, almeno sulla carta. Per corroborare la risoluzione occorrono i 4.000 caschi blu, gli aiuti e un clima di concordia reale. L'attendismo del Palazzo di Vetro è un cattivo inizio perché l'Iraq è pericoloso, ma se cadrà in mano ai terroristi diverrà nefasto.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …