Gianni Riotta: La solitudine del leader e la società in rete

21 Luglio 2004
Giuseppe De Rita, ex leader del Censis che costituì con i suoi Rapporti annuali l’ideologia della seconda metà della Prima Repubblica, sfida il leader dei Ds, Piero Fassino, a fondare la sua forza politica su "un blocco sociale". Pena, in caso di fallimento, un partito spray, leggero, incapace di parlare agli italiani. Fassino replica usando la formula evangelica del "partito lievito" capace di far crescere l’intera società. La discussione è cruciale nel futuro della sinistra, che assiste al disfacimento del progetto politico fondato con successo undici anni fa da Silvio Berlusconi, stentando però ancora a presentarsi al Paese come credibile forza di governo. De Rita ha certamente ragione a ricordare come i partiti classici della Prima Repubblica componessero la propria forza su un blocco sociale.
Contadini e braccianti, operai, impiegati, disoccupati e sottoproletari, massaie, intellettuali e professionisti, commercianti, imprenditori, artigiani, dividevano le loro adesioni tra Dc, Pci, Psi, Pri, Pli, Msi, con un blocco che passava catafratto di voto in voto. Deve dunque Piero Fassino ricercare i suoi pezzi di Lego nelle "classi" 2004 per costruire la vittoria? No. Sarebbe esiziale se ci provasse e condannerebbe il suo partito, e di conseguenza il centrosinistra, a una nuova lunga astinenza dal governo, simile a quelle che hanno colpito i Democratici in America prima di Clinton e i Laburisti in Inghilterra, prima di Blair.
Le classi, nella società contemporanea, sono diventate una rete, come dice lo studioso Manuel Castells. Cercare di incastrarle come i mattoncini delle nostre costruzioni da bambini non funziona. Guardate ancora all’America e all’Inghilterra: finché Democratici e Laburisti hanno provato a duplicare la vecchia coalizione, operai, intellettuali, minoranze urbane, non hanno vinto, perché quel "blocco sociale" semplicemente non basta più a costruire la maggioranza del 51 per cento.
Oggi le nostre società sono divise a clessidra, in alto gli individui che hanno le conoscenze che danno reddito e status, in basso coloro che non hanno il sapere digitale. All’interno delle due metà, però, ogni granello si distingue per cultura, religione, credenze, opinioni sociali, più che essere omogeneo per classe.
In America un minatore cristiano-fondamentalista e un banchiere ebreo-ortodosso possono scegliere Bush, malgrado le diverse classi, in omaggio ai valori conservatori delle loro fedi, mentre una maestra nera di Harlem e un miliardario informatico di Silicon Valley, scegliere Kerry persuasi che sviluppo e solidarietà possano coesistere. Le recenti elezioni di Spagna, Gran Bretagna e Germania confermano la natura fluida della nostra era.
La sinistra occidentale ha dunque ovunque un compito arduo: impedire che la società a clessidra strozzi i ceti medi e il welfare, rispettare e promuovere l’originalità e l’individualità di ogni granello sociale, sapere essere attiva in ogni reticolo del presente. Sconsiglierei perciò vivamente Fassino e gli altri leader progressisti dall’ego politico. Devono fare il contrario, guardare gli imprenditori che non vogliono vivere di rendita ma di innovazione, ai lavoratori che non si rassegnano allo status quo, ai giovani che assumono merito e sviluppo come amici e non nemici. La società delle classi era somma zero, se sciur padrun dalle brache bianche brindava, la mondina faceva la fame.
La società post moderna, soprattutto intorno a risorse come ricerca e turismo, può sollevare rapidamente nel benessere intere comunità. La sinistra deve saper parlare la lingua della speranza, dello sviluppo, dando con costanza un messaggio di fede nel futuro, e non di paura del presente e nostalgia del passato. Deve essere patriottica, solidale, efficiente, leale per i diritti civili, seria su difesa e sicurezza, capace di credere nei valori di uguaglianza e nella crescita di ogni singolo individuo. Tutto questo deve poi - subito - diventare nome e cognome di un leader, messaggio al Paese semplice come una parabola e coalizione elettorale. Effimera, che durerà solo per quel leader e messaggio e andrà poi, pazientemente, ricostruita quando si tornerà all’opposizione. Se vogliamo restare ai nostri vecchi giochi, il blocco sociale del Lego non serve più, serve la duttile Cera pongo per creare mille figure e mille colori.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …