Lorenzo Cremonesi: K2, cinquant’anni dopo. “È fatta, siamo in vetta”. E l'urlo arriva fino in Italia

28 Luglio 2004
Alle sedici e venti è la cima. In una giornata semplicemente perfetta Silvio Mondinelli e Karl Unterkircher telefonano via satellitare ad Agostino Da Polenza, il capo spedizione che la settimana scorsa è tornato a Bergamo dalla moglie malata: "Agostino, è fatta". Qui alle pendici della montagna il messaggio del successo giunge dunque dall'Italia. Paradossi della modernità. Mezzo secolo fa Ardito Desio rimase tutto il giorno a sbinocolare verso l'alto e poi fu lui a dettare via radio a Skardu, l'ultimo villaggio prima di immergersi nella valle del Baltoro, il telegramma della vittoria per Roma. Quando la notizia si diffonde, proprio a Da Polenza arriverà il telegramma del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: "Apprendo con entusiasmo ed orgoglio la notizia del raggiungimento della vetta del K2 - scrive -. L'Italia ritorna sul tetto del mondo con uno straordinario esempio di tenacia, di eccellenza tecnica, di dedizione". Per chi sale la soddisfazione è la stessa. Il K2 resta una montagna difficile, molto più pericolosa dell'Everest. A batter pista è stato soprattutto il 46enne Mondinelli, detto "gnaro", bambino in dialetto bresciano. Grande esperienza di cime extraeuropee, istruttore di guide alpine, ogni mattina inizia la giornata salendo in un'ora mille metri di corsa, sul Monte Rosa. Con lui condivide la fatica dell'apripista e del battere la neve, che a tratti supera le ginocchia, Karl Unterkircher. Nato a Selva di Val Gardena nel 1970, guida alpina e membro dei Catores (storico gruppo del soccorso in montagna), ha tanto da celebrare: il 24 maggio scorso era arrivato sull'Everest dalla parte tibetana senza ossigeno. Quaranta minuti dopo li raggiungono gli altri tre uomini di punta della "K2 2004 - 50 anni dopo": Walter Nones, Ugo Giacomelli e Michele Compagnoni. Per quest'ultimo una leggenda di famiglia che si ripete. È nipote di Achille, l'uomo che con Lino Lacedelli mezzo secolo fa pose il tricolore sulla vetta. Arrivano, dunque, 5 sui 19 destinati allo Sperone degli Abruzzi. Altri 3 potrebbero provare oggi. E 9 sono ancora impegnati sulla parete Nord, molto in basso a causa della neve alta e i pericoli di valanghe. Comunque il successo per una spedizione che sembrava perseguitata dalla sfortuna. Prima di tutto il cattivo tempo. Neve, vento, temperature basse, sotto la media stagionale avevano imperversato dai primi di giugno a giovedì scorso. "Non abbiamo ancora avuto un giorno intero di sole. Difficile persino fare il bucato qui al campo base", lamentavano gli alpinisti. Dopo il successo dell'Everest nell'ultima settimana di maggio, questa volta sino a pochi giorni fa molti parlavano apertamente di rinunciare. Non erano mancate le polemiche con la decina di Scoiattoli di Cortina, accampati poche centinaia di metri da qui. Piccoli battibecchi, che in realtà nascondevano la rivalità per diventare i veri depositari della prima italiana di mezzo secolo fa. Quattro di loro - Mario Dibona, Renato Sozzas, Marco Da Pozzo e Renzo Benedetti - sono partiti ieri sera alle 10 per tentare la vetta. Ma il colpo più grave per la "K2 2004" è stato sabato. Quando la squadra di punta non ha trovato più la tenda deposito a campo tre, circa 7.300 metri. Sono scattate ore di panico. Che fare senza sacchi a pelo, corde, chiodi? E sono iniziate le accuse reciproche tra gli stessi membri della spedizione. In un primo tempo si è pensato fosse stato il vento a strappare via tutto. Dunque responsabili sarebbero stati i componenti del gruppo che aveva piantato il campo. Poi però si è insinuato il dubbio che alcuni portatori pakistani abbiano approfittato del cattivo tempo per portarsi a casa il bottino. "I loro salari si aggirano sui 4 dollari al giorno. Nei depositi in alto trovano materiali che valgono migliaia di dollari. Una delle cause della tragedia del 1986, quando morirono 13 alpinisti sul K2, fu la scomparsa di una tenda", narrano i più anziani. E ieri sera Adriano Greco, un fortissimo che proprio dopo la sparizione della tenda ha scelto di rinunciare, non ha escluso un sospetto gravissimo: "Qualcuno potrebbe averci boicottati. Abbiamo trovato le picche infilate nel ghiaccio e i cordini sfilacciati. Tra il gruppo che aveva piantato la tenda c'era anche Karl Unterkircher, un professionista attento. Vicino alla nostra, c'era un'altra tenda danneggiata dal vento. Ma tutto il materiale era ancora dentro. Possibile che delle nostre cose non sia rimasto nulla?". Ad aiutare, di fronte a tante difficoltà, è arrivato il bel tempo. Gli italiani hanno trovato riparo nelle tende degli spagnoli di "Al filo de lo imposible", un gruppo affiatato il cui leader, Juanito Oiarzabal, è amico di Silvio Mondinelli. Poi hanno piantato un tendone ai 7.850 del quarto campo. In 10 avevano solo 5 sacchi a pelo e 4 materassini. Ieri sono saliti assieme. Partiti alle due e mezzo di mattino, rischiarati dalla luna crescente nel cielo senza una nuvola, hanno collaborato nell'attrezzare con corde fisse i tratti ghiacciati, hanno scalato il terribile "Collo di bottiglia", sopra il luogo dove mezzo secolo fa Walter Bonatti e lo hunza Mahdi furono costretti a un penoso bivacco passato alla storia e ancora al centro di polemiche. Un lavoro duro, penalizzato dalla mancanza di ossigeno. A quelle altezze è circa il 30% di quello che si trova al livello del mare. Dopo la cima il ritorno alle tende. Gli italiani sono arrivati tutti entro le 9 di sera. Per 3 degli spagnoli è stato un calvario concluso solo all'una di notte. Il quarto, Oiarzabal, è stato salvato dagli italiani che sono andati a cercarlo. Era congelato, debole e in stato di incoscienza. Rischia la vita

Lorenzo Cremonesi

Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …