Gianni Riotta: Presidenziali. L'ora decisiva dei "numeri due

06 Ottobre 2004
"La carica di vicepresidente degli Stati Uniti d'America non vale neppure un secchio pieno di sputo tiepido", lamentava John Nance Garner, vice del presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1932. La retorica considera il numero due "separato dalla Casa Bianca solo da un battito cardiaco". In realtà, il vice partecipa a funerali di Stato, inaugura autostrade e aspetta il turno. Stanotte però, nel dibattito di Cleveland fra l'enigmatico vicepresidente Dick Cheney e il suo rivale, il giovanile senatore democratico John Edwards, la posta è altissima. Il faccia a faccia tra George W. Bush e John Kerry in Florida ha azzerato i sondaggi anabolizzati e ricondotto la campagna elettorale dove è dal 2000, 47% per i repubblicani, 47% per i democratici, un pugno di indipendenti. Il secchio di sputi può trasformarsi in secchio di diamanti. Basta un nulla nello scontro tra Cheney ed Edwards per confermare le riserve di tanti sull'incoerenza di Kerry o persuadere gli amletici indipendenti che la politica di Bush è incenerita dalle autobombe a Bagdad. I due rivali non potrebbero essere più diversi: 63 anni, calvo, fosco e gelido Cheney; 51 anni, la chioma spruzzata di lacca, sorridente e appassionato Edwards. A Hollywood Cheney sarebbe interpretato da un cattivo alla Anthony Hopkins, Edwards da un Tom Cruise appena maturato. Cheney fu l'unico deputato americano a votare contro la mozione per la libertà di Nelson Mandela, detenuto dai razzisti in Sud Africa, sospettandolo di "terrorismo". Edwards, cresciuto povero tra Sud e Nord Carolina, è diventato ricco, un patrimonio di 40 milioni di dollari, grazie al lavoro di avvocato per le vittime di incidenti. Cheney deve provare il suo punto forte, un voto per Kerry-Edwards sarebbe un segnale di debolezza e incoraggerebbe Al Qaeda e Osama Bin Laden ad attaccare l'America. Edwards deve meritarsi il posto di numero 2 del "ticket" e confermare il successo parziale di Kerry, evocando il Cheney "oscuro", l'ex presidente e amministratore delegato della compagnia Halliburton che s'è assicurata i contratti in Iraq senza regolari gare d'appalto, il lobbista che ha incassato dall'azienda 36 milioni di dollari e continua a ricevere ogni anno dividendi per un milione e mezzo (1.250.000 euro). "Cheney è a libro paga della Halliburton, un gruppo che aveva Arthur Andersen come revisori dei conti, i tipi che ci hanno regalato lo scandalo Enron" dicono nel team di Edwards. Cheney è celebre per la coolness, la calma a tutti i costi, il suo consigliere Mary Matalin (moglie del braccio destro di Clinton e cervello di Kerry, James Carville) ritiene "irrilevante" Edwards e insiste, "presenteremo la nostra posizione agli elettori, Kerry è incostante, Edwards immaturo". Se il look premia Edwards, infatti, il curriculum vitae sta dalla parte del vicepresidente. Il giovane senatore è stato per un solo mandato in parlamento, Cheney è arrivato a Washington con Richard Nixon nel 1969, l'anno in cui Kerry tornò a casa dal Vietnam, mentre i ragazzi andavano al festival rock di Woodstock. È stato capo di gabinetto del presidente Gerald Ford dal '75 al '77, deputato dal '78 al 1989, poi ministro della Difesa con Bush padre dall'89 al '93, guidando la Prima Guerra del Golfo, eletto alla vicepresidenza con Bush figlio e stratega del secondo attacco a Saddam. Resumé d'acciaio che Edwards proverà a fondere grazie alla retorica appassionata con la quale ha sciolto le giurie nei tribunali del Sud. Il suo staff ha rinvenuto una dichiarazione di Cheney del 1991 quando, interrogato sulla mancata invasione di Bagdad dopo la rotta della Guardia Repubblicana di Saddam Hussein, dichiarò al ‟Seattle-Post Intelligencer” "Non ci lasceremo impelagare nel caos, conquistando e governando l'Iraq". Perché invece sì nel 2003?, chiederà Edwards. Gli effetti del match Bush-Kerry di giovedì scorso sulla psiche degli elettori mostrano un Bush troppo contratto, smorfie irritate e ghigno stizzito davanti al tono aristocratico di Boston del rivale. Cheney disprezza Edwards come un carpetbagger, uno degli arrivisti che dopo la Guerra Civile cercarono facile fortuna e soldi al Sud. Perdere le staffe davanti a quel pivello sarebbe per lui, che ha studiato strategia con cinque presidenti repubblicani, uno smacco cocente. Edwards lo provocherà, mascherato dietro il sorriso che cela i canini dell'avvocato irriducibile. Qualche mese fa, pressato nella lobby del Senato dalle domande dall'autorevole parlamentare Patrick Lehay, il vicepresidente dimenticò la decantata gravitas e sbottò in un "vai a farti f..." che fece rabbrividire i compunti valletti. Il gelo del carattere, sopravvissuto ai quattro attacchi cardiaci che lo tengono sempre connesso a un monitor elettronico, ha aiutato Cheney a diventare l'artefice discreto della politica americana, spiazzando il moderato Colin Powell in politica estera a vantaggio dell'antico amico Donald Rumsfeld alla Difesa, e in casa dando via libera agli uomini della Giustizia di John Ashcroft, per lo sdegno dei progressisti. Cheney terrà duro davanti alle bordate di Edwards-Perry Mason, ma se reagisse con troppa cupezza, se gli scenari da fine del mondo che prospetta, attacchi nucleari, rivolte fondamentaliste tra le casette dei sobborghi, risultassero eccessivi, da Stranamore, ecco scattare la trappola di Edwards: Bush, presidente inaffidabile, lascia il Paese in mano a Cheney, prezzolato dalle lobbies multinazionali. La scelta di novembre si va precisando per gli elettori. Bush II, con parecchi dei ministri falchi destinati ad essere impagliati, sarà più moderato, ma intanto deve difendere l'operato dell'amministrazione uscente. Kerry I promette una svolta di stile e immagine, ma dall'Iraq alla guerra al terrorismo non muterà radicalmente tattica o strategia. Per assegnare ai candidati la manciata di voti che assicura la vittoria, basta un'emozione in più. Il freddo Cheney impugnerà la paura, il caldo Edwards la rassicurazione. Stanotte, per una volta nella storia della repubblica bisecolare, i numeri due contano.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …