Gianni Riotta: George e John, divisi su tutto rispettando il galateo politico

18 Ottobre 2004
Che cosa sanno della politica nel XXI secolo George W. Bush e il suo rivale John Kerry e invece l'ex ministro italiano Rocco Buttiglione ignora? Che cosa hanno accettato del mondo globale il presidente repubblicano del Texas e il senatore democratico del Massachusetts, pur divisi dai valori e dalle idee di due Americhe in contesa? Che ci piaccia o no, ne siamo compiaciuti o depressi, le istituzioni si sono date un codice condiviso, un galateo formale, necessario e spruzzato di ipocrisia come tutti i galatei da Monsignor Della Casa al piercing. Rompere il linguaggio comune non crea consensi, li disperde. Nell'ultimo dibattito in corsa verso la Casa Bianca, il populista religioso Bush e il laico cosmopolita Kerry hanno dibattuto sui temi sociali, stato assistenziale, mutua sanitaria, vaccini contro l'influenza introvabili, malasanità, diritti degli omosessuali, pensioni, aborto, divisione Stato-Chiesa, scontrandosi con valutazioni opposte, bugie, esagerazioni, sfottò, ideali apprezzabili, colpi sotto la cintura, ma hanno seguito il paradigma posto alla politica moderna non da un fantomatico comitato politically correct ma dal carismatico Ronald Reagan: sempre appellarsi a quanto c'è di meglio negli elettori, mai ai loro peggiori istinti. O, almeno, sempre pretendere di farlo. A diciotto giorni dal voto, gli elettori hanno davanti una scelta nitida. Bush difende il suo operato, dalla guerra al terrorismo all'attacco a Saddam Hussein elencando la propria agenda, pubblica istruzione, tagli alle tasse, deficit federale ignorato nella speranza di trasformarlo in volano per l'economia, valori tradizionali di famiglia e villaggio, no all'aborto e alle nozze gay. Kerry, in contrasto, critica la strategia militare del dopo 11 settembre 2001, troppo Iraq e poca caccia a Osama Bin Laden, e chiede agli elettori sostegno a un manifesto comunitario, l'economia e il mercato di Bill Clinton sposate alla pedagogia progressista di Hillary Clinton. Bush e Kerry, il conservatore che dichiara "di sentire dentro di me gli effetti delle preghiere di tanti" e il riformista che scherza sulla moglie Teresa, multimiliardaria, "sia io che Bush abbiamo sposato mogli migliori di noi, siamo fortunati, e alcuni dicono io lo sia più di altri...", si scontrano ai limiti del regolamento sui diritti dei gay. Non c'è tema, neppure l'aborto che infiammò gli anni '80 e '90 ma oggi va in sordina, che nevrotizzi l'America come i fiori d'arancio gay. Un obbrobrio contro le Sacre Scritture per tanti repubblicani, specialmente i quattro milioni di fondamentalisti cristiani che si astennero su Bush nel 2000 e che il consigliere Karl Rove conta di riportare all'ovile il 2 novembre. Un diritto civile invece, come suffragio, habeas corpus, libertà d'espressione per la sinistra democratica. Impossibile intendersi su un simile grumo di contraddizioni, fede e certezze e Bush e Kerry, infatti, non si intendono per nulla. Bush crede in un emendamento alla Costituzione che riaffermi il matrimonio come istituto riservato a una donna e un uomo, accusando Kerry di avere votato in Senato contro il ‟Defense of Marriage Act”, legge che permette agli Stati di bocciare le nozze gay, anche se sancite da un altro parlamento locale. Kerry contraddice il presidente e allunga un colpo che molti osservatori, tra cui chi scrive, considerano sotto la cintura: cita per nome Mary Cheney, la figlia lesbica del vicepresidente Dick Cheney, consigliere alla Casa Bianca. "Siamo tutti figli di Dio e credo che se parlassimo con la figlia di Cheney, che è lesbica, ci direbbe che lei è nata così. Tutti (vi ripeteranno) che non si tratta di una scelta". Il messaggio del senatore liberal è micidiale, attenti elettori, i repubblicani sono ipocriti, si oppongono all'omosessualità come se fosse il gusto decadente dei debosciati e non una condizione naturale protetta dalla Costituzione. Non tardano le reazioni, guidate dalla moglie di Cheney, la formidabile Lynne già nota per le requisitorie contro i versi pornografici nella musica rap: "Kerry non è una persona degna... lo dico da mamma indignata... che bassezza politica la sua, volgare e schifosa". Al dibattito tra Dick Cheney e John Edwards il solo momento di unità era venuto proprio dai complimenti che il candidato democratico aveva rivolto al rivale, per l'affetto di cui circonda Mary. Diciotto giorni al voto cambiano il clima. "Non ci sono più incerti - dice lo studioso Stephen Hess di Brookings Institutions - vince chi consolida la base", il suo collega E.J. Dionne dissente: "Gli incerti sono il 20%". Nella confusione, ogni colpo è lecito. Bush e Kerry provano a combattere il violento duello con un minimo di regole. Bush afferma: "Non so se l'omosessualità sia una scelta, so che l'America deve scegliere la tolleranza e trattare tutti con dignità". Kerry accetta le critiche dei vescovi per il suo sì all'aborto, "amiamo Dio e il prossimo". I rivali hanno imparato dalla Chiesa cattolica di Giovanni Paolo II a condannare i peccati non i peccatori. Se i commentatori radio di destra gridano al microfono "culattoni!" alzano gli ascolti, ma senza speranze di essere eletti. Quando il capo della maggioranza repubblicana al Senato, Trent Lott, fece una battuta di troppo sul razzismo contro i neri, seguirono immediate le meste dimissioni dalla carica. Il mondo s'è dato questo galateo, i colpi di rasoio vanno bene per i brillanti corsivi sui fogli d'élite, nei dibattiti politici servono stile e sostanza diverse. Le due Americhe, la repubblicana che crede a meno tasse, Dio e famiglia e detesta l'Onu e l'Europa, contro la democratica, paladina del welfare, che fa la spesa al mercato biologico, vuole sacerdoti donne e si fida di Kofi Annan appassionandosi all'elogio dell'Unione Europea scritto da Jeremy Rifkin, non sono mai state così lontane e il 2 novembre si conteranno, voto su voto. Le unisce un filo esile ma prezioso, la maturità dei suoi leader, consapevoli che, in anni di guerre delle identità, occorre rispettare il galateo della convivenza. Lezione di politica del XXI secolo, per chiunque voglia evitare spiacevoli sorprese future.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …