Gianni Riotta: Bush e Kerry, le due vie della fede

02 Novembre 2004
L’inginocchiatoio del presidente ha il numero 54, il suo messale è prezioso, datato 1789. George W. Bush prega qui, nella navata della Chiesa Episcopale di San Giovanni, a Lafayette Square, genuflettendosi su un cuscino che già fu di suo padre, il presidente George H. W. Bush. Laura Lefler, funzionaria del Senato, racconta: "Pregavo, il pastore ci invita "scambiatevi il segno della pace", mi sento battere sulla spalla, mi giro, è Bush! mi stringe entrambe le mani e mormora "La pace del Signore sia con te!". Un altare disadorno, la croce latina, la cattedrale che dal 1816 fa da specchio di là della Casa Bianca, Chiesa e Stato, Dio e Cesare, i due poteri che i Padri Fondatori dell’Unione sancirono per sempre divisi. Bush, presidente che ha lanciato la guerra in Iraq e discute di un emendamento alla Costituzione per proibire i matrimoni gay, prega oggi a San Giovanni, e prende la comunione, assorto, con gli altri 900 parrocchiani, dall’energico reverendo Luis Leon. La fede unisce, la politica divide: il vescovo decano della Chiesa episcopale, Frank Griswold, padre Leon e tanti fedeli che sorridono a Bush la domenica, attendendo in fila che esca scortato dal Secret Service e bisbigliando "preghiamo per lei", non sono contrari ai matrimoni gay e accettano volentieri a messa coppie omosessuali. Il vescovo Griswold denuncia l’attacco a Saddam Hussein e le leggi antiterrorismo del ministro Ashcroft, "provvedimenti orrendi", difendendo dal pulpito Gene Robinson, il primo vescovo gay da lui consacrato, a rischio di scisma e polemica con i confratelli anglicani. In Europa le elezioni 2004 vengono viste come una crociata tra l’armata religiosa di George W. Bush e le legioni laiche del democratico John Kerry. Da questa piazza, di qua la parrocchia di Bush e del vescovo pacifista, dall’altra la Casa Bianca che il cattolico Kerry insegue con in tasca il rosario e recitando i versetti della Scrittura cari a Papa Wojtyla "Nei miei giorni da chierichetto...ho imparato a pregare, non lasciatevi turbare nei cuori e non abbiate paura!", fede e politica sembrano un arabesco. Karl Rove, il machiavellico consigliere di Bush, che lavora al di là della cancellata e del prato, vuole portare alle urne i quattro milioni di fedeli tradizionalisti che restarono a casa nel 2000. Ma chi sono esattamente? Meglio di Rove potrebbe saperlo il professor John Green, dell’università di Akron, che ha sorpreso tutti i colleghi al convegno di Key West, "Il panorama religioso d’America e la politica 2004", in Florida, dimostrando che i protestanti evangelici, un quarto dei cittadini, non votano affatto uniti per Bush. "I giornalisti parlano di "cristiani" - commenta paziente Green - ma gli evangelici sono divisi in tre gruppi, la destra che vota Bush, un centro incerto e un’ala modernizzante. Non credo che voteranno insieme per i repubblicani, sono diversi tra loro, li chiamo evangelici stile libero". La parrocchiana che scambia il segno della pace con Bush potrebbe scegliere Kerry. La frattura è politica e culturale. Secondo gli studiosi Marie Griffith e Gerardo Marti i cristiani americani, che allo storico francese Emmanuel Todd appaiono Torquemada del XXI secolo, "praticano invece diete ipocaloriche e vanno in palestra, persuasi che anima e corpo debbano rifiorire insieme; al sud, la Chiesa Battista raccoglie giovani single, patiti del computer, attori di Hollywood". Anima a Dio, corpo all’aerobica e Pilates, voto a Kerry. Solo studiando il labirinto bizantino di fedi, valori e ragioni, possiamo calcolare, fuori dai luoghi comuni, quanto gli elettori daranno a Dio e quanto a Cesare. La dialettica classica destra-sinistra non inquadra più lo straordinario scontro di culture. La fede cattolica di Kerry, per esempio, gli è costata più di una rampogna dalla gerarchia della Chiesa americana: il vescovo di Wheeling, in West Virginia, ha scritto a 80.000 fedeli che "votare per un abortista è peccato mortale". Altri prelati minacciano di negare al senatore democratico la Comunione. Charles Chaput, arcivescovo di Denver in Colorado, stato chiave nel 2004, insiste: "Chi crede alla vita deve provarlo con i fatti". Vuol dire che i cattolici scomunicheranno Kerry nel Giorno dei Morti? No. Un sondaggio Pew divide i cattolici esattamente a metà, 41% Bush, 44 Kerry. Joseph Button, caporedattore cultura al settimanale neoconservatore The Weekly Standard, conclude: "L’unità degli elettori cattolici è un mito". Lo stesso vale per i protestanti, gli ebrei e gli altri gruppi religiosi, con l’eccezione dei musulmani. Nel 2000 votarono compatti per Bush, in ricordo della politica filoaraba del padre, stavolta in 9 su 10 gli voltano le spalle, protestando per l’Iraq. È stato un sacerdote cattolico conservatore, padre Richard John Neuhaus, direttore della rivista ‟First Things” a introdurre il presidente Bush al concetto di "cultura della vita", che connette la battaglia contro l’aborto ai temi dell’eutanasia, procreazione, adozione, veto alla ricerca sulle cellule staminali, clonazione. Bush riconosce di dovere a padre Neuhaus "la mia posizione sull’aborto e l’idea che il presidente deve contribuire a mutare la cultura del Paese", come postulato dal vescovo Chaput. La "cultura della vita" potrebbe essere il detonatore nascosto della campagna 2004, dividendo, non unificando, gli schieramenti. "L’enciclica di Giovanni Paolo II del ‘91, Centesimus annus, è il documento più filoamericano mai venuto dal Vaticano, a sostegno della società capitalistica e democratica - osserva il neoconservatore Button - ma l’enciclica del ‘95, Evangelium Vitae è il testo più antiamericano mai venuto dal Vaticano, con la denuncia della "cultura della morte" che prevale su quella della vita. La verità è che il Papa ha sviluppato il pensiero sociale cattolico a tal punto che ormai le nostre vecchie categorie politiche riescono a contenerlo quanto una tazza da tè riesce a contenere un tornado". Il tornado religione in tazza elettorale porta Bush a raddoppiare i voti nella comunità afroamericana, dal 9 al 18%, grazie al no alle nozze gay, detestate da tante casalinghe e anziani nelle parrocchie dei ghetti. Ma la "cultura della vita" di Neuhaus divide anche i repubblicani: "È difficile per me predicare contro l’aborto e poi leggere un sermone marziale sull’Iraq, dimenticando le migliaia di morti innocenti" riconosce il reverendo evangelico Joe Urcavich, affranto dalla guerra. Altri cristiani sono angosciati dalla pena di morte, o dai tagli alla spesa sociale. Richard Cizik, vicepresidente dell’Associazione delle Chiese Evangeliche, testimonia del dilemma nell’ultimo documento nazionale, no all’aborto e alle staminali, ma anche sì alla mutua per tutti e alle leggi sull’ambiente, proposte da Kerry: "La Bibbia è troppo grande per essere di un solo partito". Sul sagrato di St. John due fedeli condensano il dibattito: "In dodici Stati si vota martedì anche un emendamento alla Costituzione che vieti le nozze gay. I cristiani si spaccano, chi dice No a Sodoma!, chi ribatte che il comandamento "ama il prossimo tuo" non ci spiega se etero o omosessuale". La tazza da tè politica travolta dalla bufera culturale spazza in Europa la Chiesa Anglicana sui vescovi gay, fa inciampare il presidente dell’Unione Barroso sul caso Rocco Buttiglione, divide in Italia la destra e la sinistra sulle staminali e in America soffia sul 2 novembre, con furia e in tutte le direzioni. Le previsioni del tempo indicano che durerà a lungo, in ogni parte dell’Occidente.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …