Gianni Riotta: Europa e Stati Uniti. Se l’amicizia avvizzisce

22 Novembre 2004
Andranno più o meno d’accordo Stati Uniti ed Europa nel secondo mandato del presidente George W. Bush? Troveranno un’intesa con la inflessibile Condoleezza Rice al posto del duttile segretario di stato Colin Powell? Bush, dovendo trovarsi un posto nei libri di storia, accetterà di trattare gli alleati con più rispetto, o prevarrà infine la tesi del ministro della Difesa Rumsfeld e del vicepresidente Cheney, persuasi che la "vecchia Europa" abbai ma non morda? Si sprecano, mentre Bush mette a posto la nuova amministrazione, dubbi, speranze, illusioni e risentimento. Dedicarsi a capire, a freddo, cosa accadrà tra le due rive dell’Atlantico è un po’come fare la cronaca di una partita di calcio prima del fischio di inizio, speculando su formazioni e tattiche di gioco. Impossibile, con l’eccezione dell’X fisso assegnato a Roberto Mancini. Europa e Stati Uniti non "devono" andare d’accordo per un qualche protocollo tratto dal Galateo del Monsignor Della Casa. L’amicizia vitale tra i due continenti è nata dopo la guerra al totalitarismo fascista, e si è consolidata nel contenere il totalitarismo sovietico. Non è un codice genetico, può declinare e avvizzire, come sta accadendo dalla caduta del Muro di Berlino. La scintilla del dissenso è chiara. Gli Usa non capiscono come l’euro sia, nelle parole del ministro tedesco Joschka Fischer, "un progetto politico" e sottovalutano forza e dinamismo dell’Unione Europea. Lo studioso Charles Kupchan ammonisce giustamente che l’Unione potrebbe essere la prossima superpotenza e il polemista Jeremy Rifkin esalta la nostra qualità della vita (temo che Rifkin non abbia mai visitato il ghetto arabo di Parigi, le periferie criminali di certe nostre città del Sud, né si sia curato di dare un’occhiata alle classifiche della disoccupazione). Ma i neoconservatori sono lesti a irridere gli europei, non fate figli, non avete un esercito, la vostra economia fa acqua e l’impianto elettronico delle Mercedes e delle Bmw va in tilt. Gli europei non comprendono invece quanto gli Usa si siano sentiti feriti dal terrorismo, quanto il loro modo di vivere, frenetico ma assestato, sia stato rivoltato dall’11 settembre. Il 12 settembre eravamo tutti americani, il 13 abbiamo cominciato a pensare che un po’ se l’erano meritato e che la debolezza Usa qualche spazio al nostro mercato lo apriva. È come un matrimonio, le incomprensioni si moltiplicano perché contengono elementi di verità. Se non volete ascoltarla dagli americani la nostra situazione ascoltatela da Martin Wolf, economista del ‟Financial Times”, o snelliamo il nostro modo di lavorare o decliniamo, soprattutto tedeschi, francesi e italiani, innamorati dello status quo. E se gli americani non accettano che a fare i conti con la Russia e la Cina ci sono anche gli europei si sveglieranno presto con tanti incubi Boeing-Airbus, un prodotto europeo che mette in crisi un classico prodotto americano. L’Aspen Institute prova a trovare la radice della difficile equazione in una due giorni di dibattito serrato, tra i banchi Lord Dahrendorf, Amato, Romiti, Hoagland del Washington Post, Grant, cervello di Tony Blair, il viceministro russo Spassky, Vernet di ‟Le Monde”, il commissario Monti e tanti altri. È l’economista Bini Smaghi a trarre la morale: se Unione e Usa non lavorano insieme si bloccano l’Onu, le istituzioni finanziarie internazionali, i tavoli di trattativa globali, i mercati. La guerra globale diventa guerra civile di negoziati grippati. Se Usa e Ue non spingono sul Sudan, si continua a morire nelle boscaglie. E se francesi e americani si augurano a vicenda il pantano in Iraq e Costa d’Avorio finiranno per averlo. Può darsi che vi siate annoiati della storia delle armi di sterminio di massa. Spiacenti, tornate ad appassionarvi perché Condy Rice si dovrà occupare di nucleare in Iran e Corea del Nord. Se l’Ue e gli Usa giocano a poliziotto buono e poliziotto cattivo qualcosa si ottiene. Altrimenti il prossimo presidente avrà a che fare con due paesi atomici e risoluti alle loro trame. Ne vale la pena?

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …