Gianni Riotta: Le macchie sulla bandiera blu che offuscano il sogno di Kofi

02 Dicembre 2004
Internet suggella passato e presente in un perenne Museo delle Cere, errori e speranze a fissarci beffardi dal video. Così il sito delle Nazioni Unite riproduce, imperterrito, il commiato del segretario generale Kofi Annan ai dirigenti del programma Oil for Food, novembre 2003. "Avete superato sfide impossibili". Un anno dopo, gli uomini di Oil for Food, compreso il direttore Benon Sevan, sono accusati di avere creato fondi neri e mazzette per sedici miliardi e mezzo di euro, arricchendo faccendieri e politici, ingrassando Saddam Hussein, affamando i civili iracheni. Il segretario generale, incalzato da rivelazioni stampa, riconosce che suo figlio Kojo Annan ha ricevuto 125.000 dollari (97000 euro) in parcelle dalla Cotecna, compagnia svizzera incaricata proprio di controllare che il programma Oil for Food si svolgesse senza corruzione. Il 26 giugno 2005 le Nazioni Unite, fondate il 26 giugno 1945, celebreranno il 60° compleanno e potrebbe essere il più amaro. Giovedì la commissione dei 16 saggi, tra cui l’ex premier russo Primakov, il generale americano Scowcroft e l’ambasciatore inglese Hannay, avrebbe dovuto rendere note le proprie idee sulla riforma del Consiglio di sicurezza, in attesa del giudizio di Annan in marzo e della decisione dei 191 Paesi membri nel settembre 2005. Ieri invece, in una New York dal cielo sereno e dagli umori neri all’Onu, le agenzie di stampa anticipavano le proposte dei saggi, rilasciate in fretta dallo staff nella speranza di offuscare sui giornali del pianeta la diatriba su Kojo Annan. Addio al Consiglio con i cinque Paesi vittoriosi della Seconda guerra mondiale, Usa, Russia, Regno Unito, Francia e Cina, e apertura a Germania, Giappone, Brasile, India, Egitto e Nigeria o, più probabilmente, Sud Africa. I vecchi cinque grandi manterrebbero il diritto di veto, altri Paesi, tra cui l’Italia, scontentissima che rivendica un seggio europeo e in realtà conta sul rinvio, potrebbero alternarsi in una sorta di serie B. Una seconda ipotesi parla di Consiglio aperto a otto membri semipermanenti per quattro anni, due per Asia, Africa, Europa e America, con almeno un membro non permanente. Ma è possibile che un segretario generale inviso agli americani, che ha reagito allo scandalo con riluttanza, prima negando e solo adesso riconoscendo il conflitto di interessi del figlio, riesca a riformare il condominio del mondo nei 24 mesi che gli restano di mandato? Gli americani appoggiano solo la richiesta del Giappone, i Paesi latino americani di lingua spagnola lamentano il posto assegnato al Brasile, ex colonia portoghese. L’Egitto reclama un seggio per gli arabi, la Cina si oppone al Giappone, il Pakistan all’India. Tanti sperano che il furioso dibattito del 2005 lasci tutto com’è. L’Onu però, figlia del dopoguerra, ha davvero urgente bisogno di crescere, includere nel Consiglio il mondo nuovo, riorganizzare i 75.000 caschi blu mobilitati da qui a giugno al costo di 2,3 miliardi di euro l’anno. L’Onu è paralizzata dal dissenso Usa-Unione Europea, la mancanza di intesa tra le democrazie lascia l’Assemblea in balia di gelosie e ignavia. In Sudan i massacri continuano, perché i Paesi africani non vogliono intrusi e l’Occidente litiga. Inutilmente l’ex segretario di Stato Madeleine Albright propone un "comitato delle democrazie", capace di presentare proposte per lo sviluppo e il rispetto dei diritti umani. La grande gelata atlantica ingrigisce il Palazzo di Vetro. Kofi Annan, per non vedere bloccate dallo scandalo Oil for Food le sue iniziative, dalla riforma del Consiglio al programma del Millennio di "solidarietà globale", ha nominato una commissione di inchiesta guidata dall’ex governatore della Banca centrale Usa, il rispettato Paul Volcker. La speranza era di chiarire tutto entro la primavera, restituendo libertà di movimento al segretario generale. Volcker però è limitato dalla burocrazia Onu, può solo acquisire documenti, non ha l’autorità di costringere testimoni riluttanti alla sbarra. E il Congresso americano, guidato dal senatore democratico Carl Levin e dal repubblicano Norm Coleman, persegue la sua inchiesta, accusando Annan di celare 55 documenti decisivi a chiarire chi scremava fondi destinati ai bambini in favore di gerarchi e faccendieri. La Cia, in un rapporto di Charles Duelfer, non ha dubbi, anche il cipriota Benon Sevan avrebbe ricevuto "certificati di vendita per 13 milioni di barili di petrolio". E adesso la magistratura di New York lancia una nuova indagine, in una ridda di avvocati che agitano l’immunità diplomatica, cronisti che ricevono soffiate dagli ambasciatori amici, ricatti incrociati tra le grandi potenze. Riusciranno i 16 saggi a far parlare del loro progetto più che dello scandalo, con la destra americana decisa alla resa dei conti con l’Onu e Annan, accusato di avere ostacolato il presidente Bush alla vigilia della guerra in Iraq? Sarà un anno di tormenti. Nel progetto anticipato ieri l’Onu definisce per la prima volta il terrorismo "ogni azione... intesa a causare morte o ferite a civili o non combattenti, se lo scopo di un simile atto, per la sua natura o contesto, è intimidire una popolazione, o costringere un governo o un organismo internazionale a compiere o astenersi da un provvedimento". Fuori dal gergo è una condanna della rivolta irachena e del terrorismo contro Israele. Ma il delegato arabo, Amr Moussa, ha minacciato di non firmare il piano se non condanna anche "il terrorismo di Stato", in ostilità a Israele. Quanto alla guerra preventiva, i saggi non la giustificano, insistono che la forza vada usata solo come extrema ratio e chiedono di considerare la minaccia, a un Paese o a una popolazione inerme, e la proporzionata risposta militare. La commissione riconosce però che la proliferazione delle armi nucleari, e il pericolo che cadano in mano a terroristi, richiede "urgente azione collettiva", chiedendo implicitamente a Nord Corea e Iran di seguire le indicazioni americane contro le armi nucleari, sancite dal Consiglio di Sicurezza. In questo clima, con la Casa Bianca ostile a Annan, lo scandalo fuori da ogni controllo e i 191 Paesi divisi sulla riforma, il compleanno di giugno ha tanti dolori in agguato. Se il pessimismo è d’uopo, non vanno sottovalutati i successi dell’Onu. Il 2005 potrebbe essere l’anno con meno vittime da conflitti armati dal 1920, secondo l’Human Security Report. E l’Onu ha tamponato la guerra in Est Timor, Sierra Leone, El Salvador, Namibia e Mozambico, "se lo scandalo è costato 23 miliardi di dollari non dimentichi che le guerre civili costano 128 miliardi ogni anno" conteggia un ambasciatore. Giusto, ma l’Onu ha un carisma che la cresta sulle sanzioni in Iraq e le rivelazioni sugli stupri e i casi di pedofilia perpetrati da caschi blu in Congo rischiano di macchiare a lungo. Lettura obbligata nell’anno cruciale delle Nazioni Unite dovrebbero essere le memorie del generale Romeo Dallaire, che nel 1994 si sforzò invano di convincere il mondo a fermare i massacri in Congo tra Hutu e Tutsi, costati oltre un milione di vittime. Ripensando ai suoi soli 2500 caschi blu, Dallaire medita "Avrei dovuto ammazzare, con la mia pistola, i capi delle soldataglie". Ecco le sfide dell’Onu a 60 anni, scandali e burocrazia costano vite umane.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …