Gianni Riotta: Guerra fredda. o quasi

10 Dicembre 2004
Durante la conferenza di Yalta, il diplomatico americano George Kennan mandò al suo amico Charles Bohlen, grande esperto di Russia del Dipartimento di stato, una lettera, da allora studiata da generazioni di statisti. Kennan spiegava che la divisione dell’Europa in due sfere di influenza, tra Usa e Urss, era tragica, ma inevitabile. Bohlen non si arrendeva, sognando una battaglia democratica che strappasse spazio allo stalinismo: «Un Paese libero deve avere una politica estera di libertà. Il popolo americano, dopo una guerra lunga e dura, meritava che noi ci battessimo per un mondo migliore. Si poteva fallire, ma non senza tentare». Sessanta anni dopo, crollati i muri, gli odii e le ideologie della Guerra Fredda, il dilemma antico degli amici Kennan e Bohlen, Realpolitik senza ideali o progetto realista innervato di valori, torna ad agitare l’Occidente. Ci sono lampi di una nuova Guerra Fredda ma Stati Uniti ed Europa, divisi in Iraq, devono decidere come affrontare il mondo nuovo e le sue insidie. La segretario di stato Condoleezza Rice raccoglie nella sua anima il paradosso di questa stagione: esperta di Russia e geopolitica, s’è trovata ad affrontare la guerra asimmetrica al terrorismo e adesso torna a occuparsi della ragione dei suoi studi: come confrontare Vladimir Putin, che sempre più apertamente ignora le lamentele per le violazioni dei diritti civili a Mosca? Il consigliere del Cremlino Gleb Pavlosky accusa l’Occidente di usare il caso Ucraina come «laboratorio» per indurre poi anche in Russia una «rivoluzione democratica». Il ministro degli esteri Lavrov prova a smussare la tensione, ma su Internet tracima l’umore belligerante: «Dovremmo mandare i carri armati a Kiev!». Come replicheranno americani ed europei? Il presidente George W. Bush ha a lungo apprezzato l’appoggio di Putin nella guerra al fondamentalismo islamico, chiudendo un occhio sulle stragi in Cecenia. L’orrore di Beslan ha portato anche gran parte dell’opinione pubblica a simpatizzare con Mosca. Ma la retorica marziale del Cremlino, i progetti di missili e scudi stellari, più bluff che vera corsa al riarmo, inducono due reazioni parallele. La destra repubblicana invita Bush ad agire prima che la Russia torni aggressiva, la sinistra democratica chiede di intervenire in nome dei diritti civili. L’Europa è divisa. Il presidente francese Chirac e il cancelliere tedesco Schröder vedono Putin come parte del loro progetto di «mondo multipolare», utile contrappeso alla Casa Bianca. Blair si proporrà ancora invece come leader dei diritti difesi anche con la forza e quindi, prima o poi, andrà in rotta di collisione con Mosca. Il premier Berlusconi, finora in buoni rapporti sia con Bush che con Putin troverà l’equilibrio più difficile in futuro. Ago della bilancia la Cina. La Guerra Fredda fu vinta dagli Usa perché si rivelarono più mobili degli avversari, capaci di giocare con Nixon la carta Pechino contro Mosca. Adesso i cinesi sanno abilmente puntare su Usa o Europa secondo i loro interessi e dovranno decidere presto se isolare Putin o usarlo come spina nel fianco per gli occidentali. Questa è la Realpolitik. Sarebbe bene, alla luce del dilemma di Kennan e Bohlen tra equilibrio e virtù, ricordare che solo la combinazione di forza e ragione assicurò la vittoria contro il totalitarismo sovietico. Illudersi oggi di prevalere senza credere, nei fatti e non solo nei discorsi, a democrazia, giustizia, avvantaggia ovunque le tentazioni di dispotismo.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …