Gianni Riotta: Dopo le elezioni. Il nuovo dilemma del premier inglese

09 Maggio 2005
Da quando il movimento sindacale inglese decise di organizzarsi intorno al Labour Party, nel 1906, mai i laburisti sono riusciti a vincere per tre volte di seguito le elezioni. Che ieri ce l’abbia fatta, per la prima volta, Tony Blair è la prova di quanto poco contino l’immagine, lo styling effimero, le polemiche di giornata e quanto invece siano la realtà e i fatti, duri, concreti e irriducibili, a decidere delle elezioni nelle democrazie globali. Denunciato da osservatori come Robert Fisk, e giornali autorevoli come ‟The Independent”, alla stregua di "criminale di guerra", Blair è sopravvissuto, ferito, illividito, indebolito nel carisma, alla terza, terribile, prova elettorale con gli exit poll della Bbc a dargli una maggioranza di 66 seggi, malgrado la perdita di una sessantina di deputati. Perché la Gran Bretagna resta il Paese con l’economia più dinamica d’Europa, capace di crescere in media dal 1997 del 2,8% l’anno, contro l’anemico 1,5% di casa nostra, con il 72% degli occupati contro il 56 in Italia, e una disoccupazione giovanile del 12%, metà rispetto a noi. Certo: è stata Lady Thatcher a riavviare il motore di Londra, ma Blair, e il suo abile ministro e delfino Gordon Brown, hanno riassorbito le tensioni sociali, senza frenare lo sviluppo. I fatti contano più dell’immagine, sempre. Blair ha sfidato l’opinione pubblica nel modo più tragico, nel 1999 imponendo a Clinton di non mollare la presa sul despota Milosevic, e nel 2003, opponendosi alla deriva che allontanava Washington dall’Europa per l’attacco a Saddam. Gli elettori, pur disgustati dall’eccesso di cerone politico che lo staff laburista ha spalmato sulla verità, sembrano con riluttanza riconoscere che almeno Blair, dietro le goffe maschere, ha agito per convinzione. Se le stime della Bbc sono puntuali, i conservatori del pallido Michael Howard e i liberaldemocratici del pugnace Charles Kennedy, guadagnano seggi ma dovranno ora affrontare un doloroso esame di strategia. Blair ha detto che non si ricandiderà per la quarta volta e lascia intendere di voler passare l’incarico a Brown, garante del miracolo economico laburista. Gli resta davanti l’ultima prova, per smacchiare dalla voce che gli dedicherà nel futuro l’Enciclopedia Britannica, i dubbi lasciati dalla propaganda sulla guerra, quando parlò di missili di Bagdad, "pronti a colpire in 45 minuti". Blair deve confermare le responsabilità del suo Paese davanti all’Unione Europea, di cui assumerà la presidenza a luglio. Basteranno 66 seggi di maggioranza come tribuna per convincere gli inglesi che il futuro è l’Unione, malgrado il referendum incombente sulla Costituzione, e rassicurare gli europei, anche i nuovi cittadini dell’Est, che democrazia e sviluppo non sono pergamene da museo? Alla politica italiana il successo che si delinea per Blair offre spunti di riflessione. A destra ricorda che è superfluo parlare di liberismo e mercato, se non si sanno imporre poche regole, facendole però tutte rispettare. A sinistra, soprattutto alla tradizione cattolica e riformista, Blair e Brown ricordano che modernità, rigore e dinamica sociale possono coesistere con welfare ed emancipazione dell’Africa. Se confermato, il risultato annunciato ieri dalla Bbc, dimostra che l’opinione pubblica apprezza chi tiene duro sulle proprie idee, anche quando si resta in clamorosa minoranza, esposti alle critiche più acide. Se Blair saprà far fronte all’urgente dilemma europeo, saranno pochi i programmi della sinistra occidentale prossima che non faranno riferimento, con rispetto, alla sua storica, triplice, vittoria.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …