Gianni Riotta: Nella nuova Europa le lacrime sono idee

21 Giugno 2005
L’Europa come noi la conoscevamo fin da bambini, allegra, pacifica, risorta dalle macerie della guerra, grintosa di ottimismo, con lo charme francese, l’aplomb britannico, l’efficienza tedesca e la passione italiana, è morta. Il " progetto politico" di un’Unione che, a partire dall’euro e dall’allargamento democratico a 25 Paesi, gettasse le basi di un continente capace, come voleva il presidente francese Jacques Chirac, di fare da " contrappeso" agli Usa, è ridotto in coriandoli dagli elettori di Francia e Danimarca. Ora già si litiga sull’assegno che, fin dai tempi della Baronessa Thatcher, paghiamo alla Gran Bretagna, e sui folli sussidi all’agricoltura che assegnano quasi la metà del bilancio UE, il 40%, a un settore che produce appena il 4% della nostra ricchezza. Come reagire? La strada razionale è comprendere perché, da sogno comune, l’Europa e l’euro diventano incubo per tanti. E la replica è nitida: perché il futuro terrorizza gli europei. Il neopremier francese Dominique Galouzeau de Villepin dichiara di volere in soli cento, napoleonici, giorni conquistare la disoccupazione, sicuro che " la globalizzazione non è un destino". Non sono però le aziende che, da Parigi, competono nel mondo globale, Peugeot, Danone, Airbus, a creare guai. È il pubblico impiego, sonnolento, sicuro di sé, con i tempi lenti e abitudini pantofolaie da Commissario Maigret, che rallenta il Paese. Chirac e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder sono i leader più goffi che il continente abbia avuto dal 1945. Chirac insegue una grandeur obsoleta, senza mettere mano alle riforme necessarie, Schroeder lascia che il suo partito inveisca contro gli investitori stranieri, eccitando le peggiori paure ancestrali dei tedeschi. Vedete? Le vecchie barriere di destra e sinistra nulla c’entrano: Chirac, gaullista, e Schroeder, socialista, sanno di non avere l’energia per le riforme necessarie a smuovere il ristagno economico e fanno melina ( anche se la Germania qualcosa ha fatto e ne vede già i benefici). Il no franco danese alla pallida Costituzione genera l’Europa antieuropea, dove indifferenza e paura portano ad arroccarsi. Dove le contraddizioni tardogiacobine conservatori progressisti sfumano, davanti al tema che tutto permea: affidarsi al futuro con un senso di fiduciosa opportunità o esorcizzarlo come angosciosa nemesi? La stessa dialettica affiora, per chi con animo puro non voglia scambiare l’etica con la finale Inter Roma, dall’analisi del nostro referendum. Un leader progressista, Francesco Rutelli, vince con i moderati, un leader conservatore, Gianfranco Fini, perde con i progressisti. La galassia del 74,1%, gli elettori che non sono andati a votare, si scinde, al telescopio di Renato Mannheimer, in due universi paralleli: una metà ha disertato le urne " per non far passare il referendum" persuasa dal cardinal Ruini, la seconda metà per ignavia: " Non voto mai, sono disinteressato, indeciso". Gli astensionisti nobili, " d’opinione", hanno trionfato nella giornata politica di domenica, la moltitudine degli ignavi è stata invece contagiata dal male franco tedesco, indifferenza e paura del futuro. Tutti guardano alle astensioni vittoriose e ai sì umiliati: ma il terzo di elettori neghittosi pur davanti a un’entusiasmante battaglia di fede e ragioni, dove, come meditava l’antropologo Gregory Bateson " le lacrime diventano un fatto intellettuale", minaccia di rivelarsi la grande novità segreta, fratelli gemelli degli scettici d’Oltralpe. La coalizione di chi scappa dal futuro potrebbe presto diventare maggioranza, facendo perdere all’Unione Europea la partita: ogni partita.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …