Gianni Riotta: Abu Omar. L'arroganza non basterà

01 Luglio 2005
Nelle tradizionali tavole rotonde d’estate, in ponderosi saggi universitari, nei ricordi amari degli anziani pionieri, si piange spesso la scomparsa dell’inchiesta giornalistica classica, considerata l’anemia che ha fatto perdere credibilità ai mass media. Sono quindi da salutare con gioia i reportage dei colleghi Guido Olimpio e Paolo Biondani che, grazie a un certosino lavoro da cronisti, hanno rivelato l’operazione clandestina della Cia, la Central Intelligence Agency americana, per rapire e tradurre in segreto in Egitto l’imam Hassan Mustafa Osama Nasr, più noto come Abu Omar, sospettato di organizzare cellule fondamentaliste del terrore. Pedinato in una strada di Milano, ridotto all’impotenza con uno spray chimico, sequestrato, avviato di nascosto alla base aerea di Aviano e da lì alle segrete del regime di Mubarak, senza alcuna garanzia legale, Abu Omar rischia di dividere ancor di più Stati Uniti ed Italia dopo il disgraziato epilogo del caso Sgrena, con la morte di Nicola Calipari. Si tratta di un rapimento avvenuto sul suolo di un Paese sovrano, amico ed alleato di Washington, che ha coraggiosamente sostenuto il processo di pace nel dopoguerra in Iraq con le truppe a Nassiriya, esponendosi al rischio di ritorsioni terroristiche come la strage di Madrid. Che la Cia abbia deciso di far agire il commando senza informare le autorità italiane, tra le more di hotel di lusso e spese degne di James Bond, conferma che l’amministrazione americana ancora non realizza quanto danno facciano all’immagine degli Stati Uniti le catene di Guantanamo, le foto di Abu Ghraib e le azioni segrete della Cia, il cui progetto strategico era anticipato ieri sul Corriere dall’ex dirigente degli Affari Riservati Usa, Robert Baer. A che serve il franco discorso con cui la segretario di Stato Condoleezza Rice ha ammonito gli alleati egiziani e sauditi ad aprirsi finalmente alla democrazia, se poi la Cia manda Abu Omar, sequestrato illegalmente in Italia, al Cairo per essere interrogato con le brutte, senza avvocati, trasparenza e processo legale, considerati dai duri di Washington mollezze superflue in tempo di guerra?
La migliore storia americana, da Lincoln a Roosevelt, dimostra che, pur tra luci e ombre, è possibile difendere in armi la democrazia, senza snaturarla. Il lavoro di Biondani e Olimpio conferma quanto vigoroso e fecondo resti il ruolo della libera stampa in un Paese libero, se scevro da giochi e retroscena bizantini e capace di puntare diretto alla realtà. L’inchiesta del Corriere chiama però anche ad assunzioni di gravi responsabilità: è stata solo un’operazione deviata della Cia? La Casa Bianca sapeva? Il Pentagono era informato? E fino a che livello? Da parte delle autorità italiane ci sono stati semafori verdi? O magari solo gialli? Qualcuno ha partecipato ai briefing di notifica, e se sì, perché ha dato l’assenso? Il professor Peter Spiro, dell’università della Georgia, taglia corto: ‟In una vicenda del genere gli americani non collaboreranno mai” . Può darsi, ma il caso Abu Omar da questa pagina è rimbalzato sul New York Times , il Boston Globe , il Washington Post , e gli altri quotidiani storici negli Usa, le reti tv Abc e Cnn, centinaia di testate ovunque nel mondo, dal Belfast Telegraph , all’Independent inglese, al Calgary Sun canadese, al Gold Coast Bulletin australiano. Un coro globale che difficilmente potrà essere intimidito. E che fa già breccia sul bollettino ufficiale della Casa Bianca, fin qui blindata nei ‟no commenti”. Presto non basteranno più i silenzi, arroganti o imbarazzati, e ci vorrà la verità, intera, su quella che appare un’iniqua violazione dell’autorità sovrana d’Italia.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …