Gianni Riotta: No allo slalom tra le liti. Ai Giochi di Torino dovrà vincere l'Italia

01 Dicembre 2005
La vigilia del voto per l’assegnazione delle Olimpiadi Invernali 2006 fu febbrile a Torino. La ricordo benissimo, lavoravo allora per ‟La Stampa” e non erano tempi luminosi per la città definita ‟grigia” da chi non la conosce. Camminavo lungo il Po, sul parco del Valentino alla luce della prima bella estate, gli armi del canottaggio a sfilare silenziosi come ai tempi di Gozzano e le anatre germane a nuotare, ridendosene dell’inquinamento. ‟Speriamo di vincere” masticò a mezza voce, come sempre i torinesi, il mio più vecchio amico torinese ‟la città ha bisogno di una buona notizia”. L’industria non andava bene, l’aeroporto di Caselle veniva fagocitato da Malpensa, l’Alta velocità era (è) boicottata da una coalizione di no global duri, mezzi terroristi e travet con il giardino decorato dai Sette Nani. L’indomani le notizie furono ottime, Torino, l’Italia, avevano vinto. La Stampa uscì con la foto di Evelina Christillin lanciata in trionfo e il titolo ‟È Torinooooo!”, le ‟O” intrecciate in cinque iridati anelli olimpici. La vittoria non fu un caso. Le città rivali furono feroci, Torino vinse a nome dell’Italia grazie a uno sforzo unitario. L’allora sindaco Valentino Castellani, centrosinistra, e il governatore della Regione, Enzo Ghigo, Forza Italia, lavorarono insieme, mentre la Christillin faceva da ufficiale di collegamento con Gianni Agnelli. L’Avvocato accettò di entrare in una Commissione del Comitato Olimpico pur di assicurare alla sua città i Giochi invernali. Li considerava, con la Pinacoteca del Lingotto, l’ultimo dono ‟a Torino, un debito di gratitudine”. Ora Torino è alla sua seconda vigilia, quella dell’inaugurazione dei Giochi, il 10 febbraio. Gli impianti sono pronti, compreso quello del curling, bizzarro sport con le bocce e le scopette su ghiaccio. I cantieri hanno ammodernato strade e viadotti, piazza San Carlo è sempre in trincea, i ‟bogianen”, brontoloni piemontesi che solo ieri erano napoletani o siciliani, si lagnano ‟dove andremo a finire neh...”. Andremo a finire, ecco il mio tifo, a una magnifica edizione dei Giochi Invernali, che faccia onore alla prima capitale d’Italia e al Paese. Faccio gli auguri in anticipo perché vedo qualche scia di neve polemica che mi spiace. I Giochi fanno gola a tanti e, dopo esser stati gestiti a livello locale dal Toroc, sono stati ‟commissariati” da Roma con l’arrivo del sottosegretario Mario Pescante, dirigente sportivo di lungo corso. Rivalità normali, e del resto anche i torinesi s’erano spesso e volentieri divisi tra loro. Normale è la tensione con gli sponsor, l’onnipresenza delle tv (l’americana Nbc leone sotto la Mole). Sbagliato invece che adesso ‟Roma” accusi ‟Torino” di ‟provincialismo”, che si facciano le pulci in pubblico all’organizzazione ancor prima che la fiamma olimpica arda all’ombra delle Alpi. Ne scrive bene ieri sulla Stampa un Massimo Gramellini ormai commentatore medaglia d’oro: ‟Questi non saranno né i Giochi di Berlusconi né i Giochi di Chiamparino. Tantomeno saranno i Giochi di Gianduja contrapposti a quelli di Rugantino... Saranno soltanto i Giochi di Torino, Italia”. Ben detto. Se nello sprint da qui a febbraio ci faremo sorprendere a litigare tra i paletti dello slalom olimpico non sarà una sconfitta di Torino, sarà un tonfo, una panciata goffa su neve fresca per l’Italia in diretta mondiale. È urgente che destra e sinistra richiamino i propri focosi campioni alla classica tregua olimpica.

Gianni Riotta

Gianni Riotta, nato a Palermo nel 1954, ha studiato all’Università di Palermo e alla Columbia University di New York. Ha lavorato come giornalista per varie testate da Roma e da …